ROGER IL MAGNIFICO
Il 19 novembre, Torino incoronerà il Maestro del tennis 2023. Ma chiunque sarà, è difficile che possa spodestare re Federer dal cuore dei tifosi. Non è stato il più vincente. Ma tutto di lui, dallo stile di gioco al talento nelle pubbliche relazioni, è di
ATorino l’atmosfera è già vibrante. Domenica 12 novembre si alza il sipario sulle Atp Finals di tennis: sarà una settimana da record tra biglietti venduti e sold out annunciati. Numeri lievitati grazie a Jannik Sinner, la cui zazzera rossa e il volto con lentiggini campeggiano sulla facciata della Mole Antonelliana. L’edificio simbolo della torinesità proietta i nomi e i volti dei campioni qualificati, i migliori otto giocatori della stagione. In ordine di classifica, dopo Djokovic, Alcaraz e Medvedev, arriva proprio Jannik, numero 4 del ranking. Il 22enne altoatesino sta vivendo uno stato di grazia, i recenti successi hanno concretizzato i miglioramenti fisici, tecnici e mentali. Negli ultimi mesi i punti deboli sono stati quasi del tutto colmati: dal nuovo movimento del servizio (da sottolineare una percentuale oltre l’80% con la prima di servizio nel match contro Shelton durante il torneo Atp500 vinto a Vienna), alla confidenza enorme nelle smorzate, dalla totale sicurezza quando sceglie di scendere a rete alla freddezza nel saper chiudere i punti importanti. Ha lavorato molto sull’aspetto mentale Sinner: forza di nervi e concentrazione come ingredienti necessari per ogni game, ogni match, ma anche per tenere a debita distanza le pressioni diventate sempre più vertiginose. Potrebbe essere lui, un giorno, il predestinato?
Il 19 novembre Torino incoronerà il Maestro del 2023, con Nole Djokovic nel ruolo di favorito. Come accadde un anno fa quando divenne a 35 anni e 182 giorni il più anziano vincitore del Masters, eguagliando il record di sei trionfi alle Atp Finals di Roger Federer. Perché gira che ti rigira, sempre qui si torna, al continuo parallelismo tra il serbo e lo svizzero e alla domanda delle domande: chi è il più grande di sempre, Federer o Djokovic?
Sono passati 13 mesi dal suo ritiro, eppure, nonostante l’assenza, quella di King Roger resta sempre una presenza. I sudditi orfani del suo gioco continuano a chiederglielo, un dolce e rispettoso ritornello che accompagna la vita del neopensionato sovrano: non è che ci ripensi e torni a giocare? Lui non ci pensa minimamente, è super rilassato, dedica quasi tutto il tempo alla moglie Mirka e ai quattro
È stato il mio grande rivale; questo ha giovato a entrambi, e un poco pure al tennis tennista
figli, le gemelle di 14 anni Myla Rose e Charlene Riva, i gemelli di 9 anni Leo e Lennart.
Una famiglia extralarge che vive in Svizzera ma che continua ad avere le valigie a portata di mano. A New York per la serata glamour del Met Gala, a Miami tutti insieme a scorrazzare nei paddock della Formula Uno, a Parigi, in tribuna allo Stade De France per tifare gli Springboks vincitori della Coppa del Mondo di rugby, perché il Sudafrica, Paese natale di mamma Lynette, è nel cuore del 42enne idolo planetario che conserva quell’aria da ragazzo della porta accanto.
Torniamo al quesito: chi è il più grande di sempre? Il 24esimo Grande Slam conquistato a Flushing Meadows lo scorso settembre ha definitivamente convalidato Djokovic come il più vincente di tutti i tempi, davanti a Rafa Nadal (22) e Federer (20). Ma c’è un ma. Davvero la grandezza di un campione si misura solo dal suo palmares? Oppure va presa in considerazione la capacità di trascendere lo sport? È il quesito alla base del libro Federer, la biografia definitiva (Solferino Edizioni, 456 pagine) da ottobre nelle librerie italiane. L’autore Chris Bowers, scrittore e cronista di tennis, ha seguito l’intero percorso di Roger Federer fin dalla prima intervista nel 1998 quando lo svizzero a 16 anni vince il titolo juniores a Wimbledon. C’è una analisi approfondita sull’eleganza del gioco, quello stile che lo stesso King, re Federer come era soprannominato, definiva “retrò moderno”, dalla grazia dei movimenti a quell’impressione di scivolare, quasi fluttuare, sul campo. Ci sono le definizioni dei rivali. Compresi l’amico Rafa Nadal («Roger Federer è il migliore giocatore di sempre») e l’ex bizzoso John McEnroe: «Rod Lever è il mio idolo, Pete Sampras è il più grande specialista dell’erba di tutti i tempi, ma Roger è il migliore e basta».
Il lavoro di Bowers tecnicamente è una biografia indipendente, ciò gli permette di raccontare in assoluta autonomia, di non trascurare nulla. L’autore soprattutto si tiene lontano dal rischio di beatificazione. Per carità. Federer non è un santo. Da piccolo ha dovuto battagliare con un carattere turbolento, a 16 anni lo cacciavano dagli allenamenti perché urlava e lanciava racchette facendole roteare come pale di elicottero. Il lato caotico del giovane Roger
Ha conquistato gli sportivi di tutto il mondo con la sua velocità straordinaria sul campo e una mente tennistica eccezionale
Billie Jean King, ex tennista
viene temprato da un enorme lavoro di autocontrollo; è ciò che gli ha permesso di diventare il professionista di grande disciplina e concentrazione che conosciamo. C’è la gioia ma pure l’ossessione del pubblico per la delizia del suo rovescio ad una mano. C’è il talento immenso nelle pubbliche relazioni, l’animo giocherellone che riserva solo a poche persone, la riservatezza maniacale: tutti i 39 invitati al matrimonio tra Roger e Mirka nell’aprile 2009 mantennero un tale silenzio che la stampa venne a sapere la notizia soltanto dopo l’avvenuta cerimonia. Ma la vera chicca è racchiusa nel cuore del libro, nel capitolo dedicato ai venti minuti cruciali durante la finale dell’Australian Open del 2017, un racconto sublime su come Federer sia riuscito a trasformare la sconfitta in vittoria, al quinto set contro Nadal. A voi la risposta, se sia lui il più grande di sempre. Noi restiamo nella nostra convinzione, che King Roger sia stato una notevole benedizione per il tennis.