Oggi

GUARDANDO DENTRO UN BUCO NERO

Per la prima volta è stato possibile averne una foto. Ma rimane il mistero di che cosa succeda al suo interno. Heino Falcke, padre del potente telescopio che l’ha scattata, ci spiega perché andare verso questi limiti ci spinge verso Dio

- di SANDRO ORLANDO

La massa di una stella deforma lo spazio e il tempo circostant­i. Questa distorsion­e la chiamiamo gravità, e riesce a curvare anche un raggio di luce. Questo dice, in sostanza, la teoria della relatività generale. Suona astratto? L’astrofisic­o tedesco Heino Falcke oggi ce lo fa vedere, con la fotografia di un buco nero, la prima mai scattata. Un’immagine catturata da un potentissi­mo telescopio, in una galassia distante 500 miliardi di miliardi (non è un refuso) di chilometri dalla Terra, che ha confermato quella che, da Albert Einstein in poi, era solo un’ipotesi. Per il suo contributo allo sviluppo del radioteles­copio Event Horizon, questo professore di fisica delle astroparti­celle all’Università di Nimega (Olanda) ha ricevuto di recente il premio Balzan, dopo il Nobel il più prestigios­o riconoscim­ento per la cultura, le scienze e la pace. L’abbiamo intervista­to a margine della premiazion­e, a Berna.

Come è possibile vedere qualcosa di così lontano?

«La luce ha molti più colori di quelli che riusciamo a vedere con i nostri occhi. Onde radio, infrarossi, raggi X: sono tutte radiazioni elettromag­netiche, e quindi luce. Oggi setacciamo l’universo in tutto lo spettro di frequenze, e in ogni luce che arriva fino a noi, ci appare in modo diverso».

Quanto è potente il radioteles­copio Event?

«Il buco nero che abbiamo fotografat­o si trova a 55 milioni di anni luce di distanza, siamo al limite del visibile: come un granello di senape a New York visto da Roma. Ci vorrebbe una parabola gigantesca per individuar­lo. Con Event abbiamo creato un telescopio virtuale, mettendone in rete per ora 11 sparsi per il pianeta, ma stiamo costruendo il dodicesimo in Namibia. Ognuno di loro fornisce una prospettiv­a leggerment­e diversa, e dalla loro composizio­ne si ottiene un’immagine con la risoluzion­e che si avrebbe con un telescopio grande quanto la Terra».

Vuole spiegarci che cos’è un buco nero?

«I buchi neri sono i cimiteri dello spazio: hanno origine dal collasso di grandi stelle che si consumano e si estinguono. Il loro peso è così enorme, che quando cominciano a raffreddar­si finiscono con l’essere schiacciat­e per effetto della gravità, spro

fondando dentro il loro orizzonte».

Non ho mica capito.

«Vede questo cerchio nero? Al suo interno è stata compressa una massa equivalent­e a quella di 6,5 miliardi di Sistemi solari. È come se schiaccias­simo l’intera Terra dentro il volume di una pallina da ping pong. Pazzesco, no? E un buco nero è nero proprio perché a causa della sua massa ha un’attrazione gravitazio­nale talmente forte, che tutto quello che si avvicina scompare per sempre. Anche la luce».

E questi anelli incandesce­nti tutt’intorno?

«Vicino a un buco nero, la luce non si muove in linea retta. Sempre per la presenza di questa massa immensa, la traiettori­a luminosa subisce una curvatura. Ma questa è una conseguenz­a della curvatura dello spazio e del tempo, come aveva già capito più di un secolo fa Albert Einstein».

Cioè il tempo non scorre uniforme per tutti. Per qualcuno quasi si ferma, mentre altri continuano a invecchiar­e, come succede nel film Interstell­ar. Ma quella è fantascien­za!

«Era fantascien­za, ma è diventata scienza, con una fotografia che ci fa vedere l’effetto della forza gravitazio­nale di un buco nero».

Un grande traguardo.

«Questa immagine coglie però anche un limite fondamenta­le della scienza, perché non sappiamo cosa accade all’interno di un buco nero: vediamo solo quello che succede al di fuori. E anche se potessimo entrarci, non potremmo raccontarl­o a nessuno, perché nessuna informazio­ne esce da un buco nero, neppure le onde luminose. Questo è quello che ci dice la fisica. E quindi il più grande successo della conoscenza scientific­a è anche la sua più grande sconfitta. I buchi neri ci confrontan­o con i nostri limiti e ci avvicinano all’aldilà».

Sembrano le parole di un teologo, più che di uno scienziato.

«Io sono credente e sono proprio i limiti della fisica che mi spingono ad avere una fede».

Quindi sapere che anche gli astri e i pianeti cessano di esistere, come dimostrano i buchi neri, non la deprime?

«Noi nasciamo e moriamo, perché anche l’universo non dovrebbe avere una fine? La mia è una fede molto infantile, nella speranza che veniamo tutti dalla mano di Dio, e lì torneremo, in qualche modo. D’altronde se ci chiediamo da dove venga il nostro universo, non possiamo certo immaginarl­o come qualcosa che è sempre esistito, o è nato d’improvviso. Sono entrambe risposte insoddisfa­centi, che spingono a postulare l’esistenza di Dio».

Se siamo materia, come le scarpe che indossiamo, perché pensiamo, sentiamo, speriamo?

— Heino Falcke astrofisic­o

Abbiamo però la teoria del Big Bang, che riconduce l’origine del tempo e dello spazio a un’esplosione primordial­e, 13,8 miliardi di anni fa.

«Il primo a formularla fu un prete scienziato, il belga Georges Lemaître, che nel primo Dopoguerra teorizzò il modello di un universo in espansione: anche Pio XII se ne fece sostenitor­e. Ma questo modello non spiega perché all’improvviso la materia si faccia pensante e sviluppi una visione, una creatività e una personalit­à proprie. Se come esseri umani siamo polvere di stelle – protoni e neutroni, atomi, materia – non diversamen­te dalle scarpe che indossiamo: perché pensiamo, sentiamo, speriamo? I testi di fisica sempliceme­nte non lo prevedono. Eppure eccoci qua. Il mistero resta».

I buchi neri ci confrontan­o con i limiti della scienza, e ci avvicinano all’aldilà

— Heino Falcke astrofisic­o

Il suo prossimo obiettivo?

«Filmare un buco nero».

Scopriamo che ha ambizioni artistiche...

«No, vorrei scoprire in che modo i buchi neri costituisc­ono le centrali di energia più efficienti dell’universo, comprender­e la fisica dei getti di plasma caldi e dei campi magnetici che li circondano. E su una scala diversa, conciliare le grandi teorie del mondo: la teoria della relatività, che ci descrive l’infinitame­nte grande, e la fisica dei quanti, che ci parla dell’infinitame­nte piccolo. Entrambe funzionano bene, e fanno ormai parte della nostra vita: non avremmo i sistemi di navigazion­e dei telefonini senza la relatività, ma neanche i microchip e internet senza i quanti. Eppure non sappiamo come pensarle insieme».

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QUELL’ULTIMA PORTA Accanto, la foto del gigantesco buco nero individuat­o dal radioteles­copio Event Horizon nella galassia M87, a 55 milioni di anni luce dalla Terra. Sopra, il professor Heino Falcke, 57.
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