Quella irresistibile voglia di 70
Gianmarco Tognazzi racconta Non ci resta che il crimine, serie ambientata negli anni di piombo. «Rimpiango i tempi in cui i film nascevano a tavola»
Dopo la banda della Magliana, dopo la Guerra mondiale, stavolta Gianmarco Tognazzi finisce negli anni Settanta. Non per un film, ma per un intera serie: Non ci resta che il crimine , su Sky e Now Tv, regista Massimiliano Bruno. Tognazzi riprende i panni di Giuseppe: «Scopro di essere stato adottato e torno indietro per capire perché mia madre mi abbia abbandonato».
Cambiando genitore: suo padre Ugo nel 1979 fu protagonista di una fake news della rivista Il male, che lo additava come capo delle Brigate Rosse.
«Avevo 12 anni. Era uno scherzo e tantissimi ci sono cascati, a scuola rischiai quasi il linciaggio. Ma io di quegli anni ho nostalgia, c’era entusiasmo, condivisione, i film nascevano a tavola. Come quando Marco Ferreri disse a mio padre, che cucinava sempre: “A forza di farci mangiare così ci farai morire tutti”. Prese forma così La grande abbuffata. Il convivio è ciò che oggi riproduco con La Tognazza, la mia azienda di vini».
Invece che indietro, non vorrebbe andare avanti nel tempo?
«Il tempo è una convenzione che ci siamo dati noi, una coperta di Linus per non soffrire delle assenze delle persone care. Come quella di Ugo: da anni mi racconto che non lo vedo perché è via per lavoro, mi creo una realtà parallela».
Torniamo al presente. Sta facendo molte serie:
Everybody Love Diamonds, Non ci resta che il crimine, Alter Ego uscito sulla Tv svizzera, prossimamente Call My Agent. «Le piattaforme mi danno grandi soddisfazioni. Il mio film Lo sposo indeciso su Netflix è stato l’unico italiano nella top ten per settimane. Ma tornerò anche al cinema, con il nuovo capitolo dei Cassamortari».