Il discorso straordinario di un padre
MAI ASCOLTATE PAROLE COSÌ: L’ULTIMO REGALO DEL SIGNOR GINO ALLA SUA GIULIA. E A TUTTI NOI
Non si possono commentare le parole pronunciate dal papà di Giulia. Sarebbe presuntuoso, sbagliato e soprattutto inutile. Il suo è stato un discorso semplicemente perfetto e di altissimo valore. Possiamo solo provare a soffermarci sulla scelta di quelle parole. Il Signor Gino Cecchettin è stato esemplare. Esemplare per tutti quelli che lo hanno ascoltato ed esemplare per il futuro dei suoi figli a cui probabilmente era innanzitutto rivolto quel discorso. Ha indicato con forza e rigore la strada da seguire ricordando i principi che la ispirano: quelli che evidentemente hanno abitato e abitano la sua famiglia. Quelli nei quali crede e nei quali ha educato i suoi figli.
Nel mezzo della tempesta emotiva più disperata nella quale ci si possa trovare, Gino Cecchettin è rimasto in equilibrio. Non ha perso dolcezza nel tono e nell’incedere: ha scelto la dolcezza e ha lasciato fuori la rabbia che non ha mai abitato nemmeno per un istante le sue parole. Esemplare e inaudito, nel vero senso del significato: mai udito. Mai udite parole simili. Parole di enorme umanità e di importanza cruciale. Parole che chiamano in causa la responsabilità di ciascuno, nessuno escluso, e che guardano lontano. Per costruire il futuro.
Nessuna velatura di vendetta né di odio. Nessuna. Ma impegno concreto. Un appello e un richiamo affinché si ritrovi quell’umanità che il nostro tempo sembra aver perduto.
Parole meditate e pesate rivolte a tutti ma in particolare ai giovani. Parole di pace contro ogni violenza: quella fisica, quella verbale, quella del mondo della comunicazione, quella che è in ciascuno di noi anche quando non ce ne accorgiamo. Un richiamo a guardarci dentro, a riscoprire valori intorno ai quali riconoscerci. Un richiamo alla funzione educativa della scuola, alla necessità di imparare a perdere, a saper rinunciare, a rispettare gli altri costruendo relazioni sane.
Contro il patriarcato e contro la violenza di genere c’è bisogno di un cambiamento radicale di mentalità che inevitabilmente deve passare per strumenti legislativi ma soprattutto educativi. Educare all’affettività e a una sana sessualità è imprescindibile e inderogabile.
Un discorso, quello di Gino Cecchettin, che bisognerebbe imparare a memoria, leggere nelle scuole, come già promesso dal ministro Valditara, e stampare sui libri di testo. Un discorso che fa sperare per davvero perché, se ci sono ancora persone come lui che in un frangente come questo riescono a pronunciare quelle parole, allora non tutto è perduto. Gino Cecchettin con una forza commovente ha deciso che è proprio in questi valori che la sua Giulia può continuare a vivere e che è in questi valori che tutti noi la dobbiamo cercare. Così Giulia non sarà morta invano. Quel discorso rimarrà memorabile e ci lascia ammirati per il rigore morale che lo ha ispirato: quel discorso è stato l’ultimo regalo di un padre straordinario a una figlia straordinaria.
In piazza, a Vigonovo, l’albero di Natale non c’è. Nessuno ha avuto testa e cuore di pensarci. Nel parco giochi di via Isonzo, in compenso, è spuntato un murale. L’ha fatto Seneca, uno street artist di Montegrotto Terme che per faccia ha il cappuccio di una felpa. È arrivato di nascosto coi pennelli, l’ha finito in due ore. Intorno, ci ha incollato i bozzetti di Giulia. Prima che Filippo l’ammazzasse a coltellate (venticinque: alla gola, al petto, accanto al cuore), si era iscritta a una scuola di fumetto. Ha fatto solo due lezioni. «Xe mèjo questo dell’àlbaro», dice secca Paola, che abita a fianco. Da quella notte che ha lasciato il buio, è passato un mese. I Cecchettin cercano di vivere in fondo alla strada, girato l’angolo. Gino, i figli Elena e Davide. Monica, la mamma, se n’è andata un anno fa, per un tumore. Giulia l’ha ritrovata un cane in un dirupo, i sacchi della spazzatura addosso. Aveva 22 anni. Al suo funerale, a Padova, il padre ha mostrato a tutti cosa vuol dire essere uomo. Fuori, al gelo, in 10 mila hanno scosso le chiavi per fare rumore. L’hanno
Il marito la picchiava, chiamai i Carabinieri. Risposero: «Sono questioni di famiglia»
— Clara Salviato ex sindaca
sepolta a Saonara, dove riposa anche sua madre. Sono a cinque tombe di distanza.
Vigonovo è un paese ordinato e annichilito. La foto di Giulia è dappertutto, sulla vetrina del cartolaio, dal salumiere. In piazza, 15 alberi, una chiesa, tre bar e un sushi all you can eat col nome di un’eroina Disney. Il cinema non c’è, la libreria neppure, le suore gestiscono l’unica scuola materna, la statale non è mai esistita. Di fianco all’asilo, in compenso, ci sono i Carabinieri, quelli che quando un vicino ha sentito Giulia gridare non sono arrivati. Per carità,
Quando veniva a trovarmi, chiedeva la torta margherita e le matite pastello. Ora viviamo in una bolla. Chi lo sa come si ricomincia — Carla Gatto, nonna di Giulia
Da zia provo un senso di fallimento. Ho il cuore lacerato, la testa piena di domande
— Elisa Camerotto
poteva succedere anche a Pontassieve, o a Canicattì. È successo qui, con buona pace della panchina rossa accanto alla fermata del bus. Clara Salviato, ex sindaca, non si sorprende. Anni fa, preoccupata per una concittadina presa a pugni dal marito, andò di persona a suonare alla porta dell’Arma. «Sono questioni di famiglia», la liquidò il maresciallo di allora, tornandosene al suo caffè.
Prima di Giulia, perché in questa storia c’è un prima e un dopo, a Vigonovo − veneziana per provincia, padovana per geografia − la vita scorreva tranquilla. Il lavoro c’è, comparto scarpe di lusso: Dior, Vuitton, LVMH. La domenica si va in trattoria, a mangiare carne di cavallo. I ricchi, quelli con la villa sul Brenta, caricano gli sci sulla Porsche e puntano a Cortina. Moldave e marocchini vivono al Peep, un quartiere di condomini dignitosi, nel verde. Integrazione quanto basta, come dappertutto. E comunque, le prime a portare i fiori per Giulia davanti al Municipio sono state le donne velate, i bambini per mano.
Monica, la mamma, la conoscevano tutti. Faceva la catechista a Saonara, a due rotonde da qui, e tirava su i suoi figli col sorriso. Lei piena di fede, suo marito agnostico, diversi in tutto tranne che in quello che conta. Una famiglia bella. Cinzia Borgato, che di Monica era amica, racconta che Giulia somigliava a sua madre. Animatrice in parrocchia, un giorno si accorse che una bambina timida compiva gli anni e non l’aveva detto a nessuno. «Giuli le organizzò una festa su due piedi, con la Coca Cola e la chitarra. Era fatta così».
Nella parrocchia di Saonara si recita il rosario, non c’è un banco libero. Gino Cecchettin, la spalla che sfiora quella del figlio Davide, è una quercia stanca. L’uomo che non sa pregare, ma sa sperare, stringe mani e conforta chi lo abbraccia. Lui, conforta. Sua madre Carla dice a Oggi che non lo dà a vedere, ma è «una lancia spezzata». Fa la pittrice, Carla, è stata lei a trasmettere a Giulia il piacere del disegno. «Quando veniva a trovarmi chiedeva la torta margherita e le matite pastello. Ora viviamo in una bolla. Chi lo sa, come si ricomincia». Elisa, la zia di Giulia, non ce la fa a parlare. «Provo un senso profondo di inadeguatezza, di fallimento», ci scrive, «ho il cuore lacerato, la testa piena di domande». Chi è vicino a Gino dice che di notte s’interroga. Mentre Filippo cacciava in auto Giulia, il coltello in mano, il papà era a casa. A meno di cento passi. Perché non ho sentito, perché non ho capito? A chiunque, si fermerebbe il cuore.
Alla veglia, don Francesco spiega che il dolore va accolto, anche Cristo ha gridato mentre moriva. La rabbia no, perché consuma dentro. «Il silenzio è come una carezza, rassicura». Ecco, se c’è una cosa che in questo paese forse non si aspettavano è che da qui partisse una rivoluzione.
L’Antigone di Vigonovo si chiama Elena Cecchettin. Le hanno dato della satanista, è un’anima gentile con la passione per il gothic, ma vaglielo a spie
gare al consigliere leghista che cos’è un racconto di Lovecraft. Studia Biologia a Vienna, è tornata di corsa un mese fa per cercare sua sorella, quella che collezionava scatole, «anche quella del Finish, perché ha del potenziale», che la svegliava di notte perché aveva paura delle cimici, che sognava di vedere la brughiera. «Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere», ha scritto. Due giorni dopo, solo a Roma c’era mezzo milione di persone in piazza. Un’epifania di coscienza che urlava basta, mai più. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
A molti, il suo grido contro il patriarcato ha fatto paura. Come fosse una fantasia oscura, non una realtà dolente. Lisa Stocco, 30 anni e una sigaretta nervosa, sostiene che da queste parti sono in molti a non aver capito. «Dicono “poàretta, che disgrazia”, come se Giulia fosse finita sotto un camion. E invece no, l’ha ammazzata Filippo». I soldi per la sagra della birra, commenta, si trovano sempre. Quelli per i centri anti-violenza, no.
In via del Lavoro, la gioia di Giulia ed Elena è appesa a un muro. La scuola di danza che hanno frequentato a lungo si trova nella zona industriale, tra un piastrellista e un carrozziere. Sulle scale, risa di bambine e le foto di un vecchio saggio. Le sorelle Cecchettin ballano un charleston, le braccia tese alla vita. Monia Masiero, la direttrice, sta montando un pezzo di contemporanea dedicato a Giulia. Attacca con i corpi accasciati a terra, che sussultano, poi si apre in un respiro. A fine prova le ragazze siedono a terra, sul parquet. Hanno 15 anni, di quello che è successo parlano a fatica. Dicono che oggi hanno più paura, che sì, lo sanno benissimo che gli uomini non sono tutti come Filippo, «mio padre l’altro giorno solo a pensarci piangeva». Ma Sara racconta che a scuola, quando hanno discusso di femminicidio, i maschi si facevano i fatti loro, persi nel cellulare. «Pensano che non li riguardi, non ne vogliono neanche parlare».
Al mercato del lunedì, in piazza Marconi, Anna compra arance e ciclamini. Ha 78 anni, in un’altra vita faceva l’operaia. Le parole di Elena le sente sue: ne ha viste tante, di colleghe che nascondevano i lividi. «Prima non ne parlava nessuno. Ditelo voi, che siete giovani». Dopo Giulia, i bravi ragazzi ne hanno ammazzate altre due, Vincenza sotto gli occhi dei suoi bambini. A oggi sono 107 dall’inizio dell’anno. Per loro non ci sono state telecamere né autorità impettite.
Il grido di Antigone, però, risuona. Giorni fa quattro giovani calciatori del Vigonovo Tombelle, 16 anni a testa, hanno visto un uomo che picchiava la moglie per strada. L’hanno bloccato, chiamato le Forze dell’ordine. «Due volte, per essere sicuri che arrivassero».
Dicono “poaretta, che disgrazia”, come se Giulia fosse finita sotto un camion. E invece no, l’ha ammazzata Filippo — Lisa Stocco, residente di Vigonovo