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L’ALBERTONE NAZIONALE ERA UN INGUARIBIL­E MAMMONE

- A cura di VALERIA PALUMBO

Era ormai un gigante della commedia all’italiana: recitava, scriveva e firmava la regia. Come aveva fatto con Polvere di stelle, in cui era in coppia con Monica Vitti. Ma nella vita l’attore nascondeva le sue simpatie e i suoi amori. E giurava che mai sarebbe uscito di casa. Tenne la parola

Ammetteva un solo fiasco, Alberto Sordi. Ma, aggiungeva, era stata colpa del pubblico: «Ideai un personaggi­o da presentare alla radio. Un tipo emblematic­o della nuova Italia: quello del militante dell’Azione cattolica (ambiente da cui provenivo anch’io), attivo, buono, ma rompiscato­le. (...) La trasmissio­ne ebbe successo, tanto che durò tre anni per un totale di 250 quarti d’ora. E sull’onda di quel successo tornai al cinema, portandovi proprio quel personaggi­o, nel film Mamma mia che impression­e! Lo produssi con De Sica. Era il 1951. (...) Fu un fiasco. Il mio era un personaggi­o che precorreva i tempi con una comicità a cui la gente non era preparata “visivament­e”, anche se l’aveva accettata radiofonic­amente. Così, qualcuno cominciò a darmi consigli “da amico”. “Alberto, lascia perdere col cinema. Non ci sei tagliato”. Ma io non ne ero convinto per niente». E aveva ragione, ovvio. Proprio nei giorni in cui Luigi Bernardi intervistò Sordi sul numero 50 di Oggi del 13 dicembre del 1973, era uscito Polvere di stelle, il film con Monica Vitti, poi diventato un cult, che ricostruiv­a le vicende di una scalcagnat­a compagnia di varietà nel 1943.

A dirla tutta, poche pagine dopo l’intervista, nella rubrica Il sofà delle muse, il celebre critico Angelo Solmi, a cui Sordi aveva anticipato la trama del film, ne dava un giudizio poco lusinghier­o: «Ho provato un senso di delusione adesso che Polvere di stelle è stato presentato al pubblico italiano in una versione sorprenden­temente lunga e diluita, di oltre due ore e mezzo di durata (...). Film discontinu­o, Polvere di stelle trova i suoi accenti migliori nel tratteggio del mondo dell’avanspetta­colo, un genere al tramonto ma ricco di sofferta umanità». Monica Vitti ci vinse comunque il David di Donatello come migliore attrice protagonis­ta nel 1974.

E comunque, in quel 1973, per quanto non fosse ancora l’Albertone nazionale (Storia di un italiano, la rassegna da lui curata, che lo consacrò, sarebbe andata in onda su Rai 2 tra 1979 e 1986), Sordi era già famosissim­o. Era esploso interpreta­ndo, nel

1954, Nando Mericoni in Un americano a Roma e si era imposto come grande interprete sia comico sia drammatico nel 1959 con Il vedovo di Dino Risi (in coppia con Franca Valeri) e La grande guerra di Mario Monicelli a cui seguì, nel 1960, Tutti a casa di Luigi Comencini. «Complessiv­amente, in vent’anni, ho interpreta­to 140 film. Credo che non ci sia nessuno che abbia raggiunto un record del genere», si vantava con il nostro giornalist­a. La modestia non era il suo forte, ma come dargli torto? «Io ho la soddisfazi­one di aver aperto una strada, aver introdotto un genere di commedia, nel cinema italiano. Nei primi anni questo genere era ignorato, lo facevo solo io; ma poi ho visto gli altri seguirmi. Non solo gli italiani, ma anche gli americani venivano a ruota». Era passato alla regia già nel 1966 con Fumo di Londra e, negli anni Settanta, inanellò un ruolo più bello dell’altro: dal geometra incarcerat­o in Detenuto in attesa di giudizio di Nanny Loy, che gli valse l’Orso d’argento al festival di Berlino nel 1972, al baraccato de Lo scopone scientific­o di Luigi Comencini (1972) al padre di Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli (1977). Inevitabil­mente Bernardi gli chiese perché mai non si fosse sposato (all’epoca sembrava bizzarro): «Sono rimasto scapolo a causa del mio lavoro. Per una conseguenz­a. Una distrazion­e dovuta proprio al modo in cui io ho lavorato in questi anni». Ammetteva di aver perso la testa per molte donne («So dove portarle. O ci incontriam­o a casa mia, o a casa loro»). Ma confessava che, quando aveva detto in casa che sarebbe andato a vivere da solo, «mia madre Maria replicò scettica: “Ma ‘ndo vai?”. A quella risposta mi sentii cascare le braccia e abbandonai ogni velleità». Un bamboccion­e d’antan. E di talento.

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 ?? ?? CON MONICA FU DAVVERO UN DUO STELLARE Qui sopra, Alberto Sordi e Monica Vitti in Polvere di stelle, del 1973: l’attore romano ne aveva curato anche la sceneggiat­ura (con Ruggero Maccari e Bernardino Zapponi) e la regia. Raccontava la storia di una scalcagnat­a compagnia di varietà nei tragici giorni dell’armistizio e della fuga del re da Roma nel 1943. Accanto, un ritratto di Sordi (1920-2003) a Roma, nel 1960.
CON MONICA FU DAVVERO UN DUO STELLARE Qui sopra, Alberto Sordi e Monica Vitti in Polvere di stelle, del 1973: l’attore romano ne aveva curato anche la sceneggiat­ura (con Ruggero Maccari e Bernardino Zapponi) e la regia. Raccontava la storia di una scalcagnat­a compagnia di varietà nei tragici giorni dell’armistizio e della fuga del re da Roma nel 1943. Accanto, un ritratto di Sordi (1920-2003) a Roma, nel 1960.

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