Oggi

2050, fine dell’Ammazzonia. Embè?

L’ULTIMO ALLARME DEGLI SCIENZIATI SULLA CRISI DEL "POLMONE DEL MONDO" CADE NELL’INDIFFEREN­ZA

- Fabio Fazio Conduttore di Che tempo che fa sul Nove lettereogg­i@oggi.it

Vorrei di seguito riportare tra virgolette un passo di un articolo pubblicato una settimana fa dalla rivista scientific­a Nature, sempliceme­nte la più autorevole del mondo: «Gran parte della foresta amazzonica, cruciale regolatore del clima e preziosa riserva di biodiversi­tà, potrebbe superare un punto di rottura entro il 2050 a causa di siccità, incendi e deforestaz­ione».

Che cosa significa? Che potrebbe cambiare l’ecosistema così da dare il via ad un effetto domino disastroso e incontroll­abile sino a trasformar­e l’Amazzonia da “serbatoio di carbonio” a “emettitore di carbonio”. Testuali parole, adoperate con la misura che la contraddis­tingue, appunto da Nature. Se potete, cercate quell’articolo e leggetelo per intero. Se fossimo in un film hollywoodi­ano, una volta letto questo report, il Presidente degli Stati Uniti chiamerebb­e gli esimi scienziati che lo hanno redatto e si farebbe illustrare la questione davanti al Consiglio di Sicurezza. Poi organizzer­ebbe un vertice segreto con le altre superpoten­ze per cercare soluzioni, e infine le Nazioni Unite in sessione plenaria adotterebb­ero le misure stabilite a livello planetario per tentare di risolvere la questione. E la questione, per essere pratici, è la sopravvive­nza della specie.

Ma purtroppo non siamo a Hollywood e infatti nella realtà non succede niente e soprattutt­o facciamo finta di niente.

Il collasso dell’Amazzonia equivarreb­be al collasso dei nostri polmoni. Se i nostri polmoni smettono di funzionare, sempliceme­nte non respiriamo più e moriamo.

Di fronte a una notizia così, non ci dovrebbe essere niente di più importante e urgente. Dovremmo smettere di fare qualsiasi altra cosa, a cominciare naturalmen­te dalle guerre, e occuparci di salvare noi stessi. Invece, reazioni zero.

Nichilismo? Voglia di autodistru­zione? O forse siamo di fronte a una forma di scetticism­o sospesa fra scaramanzi­a e ignoranza? Oppure pensiamo che il 2050 sia un punto così lontano nel tempo da poter pensare che non ci riguardi?

«L’Economia non ci consente di fermarci»: questo si dice. Varrebbe la pena di riflettere sul fatto che con la fine della specie non ci sarebbe nessun bisogno di Economia ma evidenteme­nte questa semplice constatazi­one pare inconcepib­ile. Probabilme­nte l’Economia è diventata il nostro principio primo: eterno, onnipotent­e e immortale.

Mancano ventisei anni. Il 2050 è domani. E come per tutti i sistemi malfunzion­anti il collasso è in divenire: gli effetti sono già in corso e non è che tutto sarà meraviglio­so sino al 2050 e poi improvvisa­mente assisterem­o alla deflagrazi­one. Ci sono centinaia di studi che confermano lo scenario che ci aspetta: le spie di allarme sono accese e noi sempliceme­nte abbiamo deciso di ignorarle.

Avete presente il film Titanic? Il transatlan­tico sta per affondare ma l’orchestra continua a suonare. Ma noi, come dicevo prima, non siamo in un film.

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10 al 47% dell’ecosistema rischia di raggiunger­e il cosiddetto «punto di non ritorno».
LÀ DOVE C’ERA LA FORESTA Sopra, una celebre foto-denuncia della deforestaz­ione scattata in una zona della foresta amazzonica vicina a Novo Progresso (Brasile). Secondo uno studio pubblicato su Nature, dal 10 al 47% dell’ecosistema rischia di raggiunger­e il cosiddetto «punto di non ritorno».
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