I SECCHIONI DEL POP
Cantano, ma vantano lauree in discipline sorprendenti. Perché, come dice l’astrofisico Brian May, «è bello vivere in due mondi»
SSono sempre stata curiosa, amante degli esperimenti e un po’ nerd
— Annalisa
fatiamo il luogo comune del cantante ribelle che nella vita ha pensato solo alla musica infischiandosene della scuola. Alfa non è l’unico “secchione” della musica italiana. La numero uno è Annalisa che ha passato la giovinezza tra formule ed esperimenti. La popstar di Sinceramente era la prima della classe al liceo scientifico e poi si è laureata in Fisica all’Università di Torino del 2009. «La laurea è una marcia in più», ha detto. «Sono sempre stata curiosa, amante degli esperimenti e un po’ nerd». Studi che alla fine le sono serviti, perlomeno in tv: dal 2015 al 2019 ha condotto il programma di divulgazione scientifica su Italia 1 Tutta colpa di Einstein.
Un altro cervellone scientifico è Elio. Stefano Belisari, oltre a esssere diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, è laureato in Ingegneria elettronica al Politecnico. «Prima di fare il musicista a tempo pieno, ho lavorato quattro anni alla Sia, la Società Interbancaria per l’Automazione», ha raccontato Elio. «Doveva servirmi come apprendistato per la laurea in Ingegneria, in realtà durante quel contratto ho inciso due dischi e in Ingegneria mi sono laureato dopo, nel 2003».
Giovanni Allevi, oltre ad avere due diplomi al Conservatorio, in pianoforte e composizione, è laureato in Filosofia con 110 e lode all’Università di Macerata, con la tesi dal titolo Il vuoto nella fisica contemporanea.
Ma non dobbiamo stupirci troppo. «C’è un legame tra musica e scienza», ha spiegato Brian May, chitarrista dei Queen, laureato in Fisica, con dottorato in Astronomia, prima, e in Astrofisica poi, conseguito a 60 anni. «Molto astronomi erano appassionati di musica, e tanti musicisti hanno trovato ispirazione nella scienza. Abbiamo una sola vita e quindi il diritto di misurarci almeno con due mondi».
Genio e sregolatezza? Un clichè. Il rapper e cantautore Willy Peyote è laureato in Scienze politiche, Ghemon in Giurisprudenza alla Luiss di Roma. «Gli studi mi sono serviti per raccontare la vita di uno studente fuorisede a Roma (è originario di Avellino, ndr)». Noemi sognava di diventare una critica cinematografica e si è laureata al Dams.
Mentre il cantautore Brunori Sas è un commercialista mancato, laureato in Economia. «Avendo scelto una facoltà così lontana da me, ho usato quel traguardo per farmi forza. Della serie: “Se sono riuscito a fare questo...”».
Restai a parlare con lui per mezz’ora, sommersi dal fumo della marijuana, mentre fuori la gente gridava il suo nome — Pino Daniele
Una vita epica, un personaggio immenso, una musica irresistibile: è quello che consegna agli spettatori il film One love, in uscita il 22 febbraio anche in Italia, dedicato al mito di Bob Marley, al suo breve tragitto su questa terra, chiuso all’età di appena 36 anni. Simbolo indiscusso e unico del reggae - lo stile che dalla Giamaica contribuirà a diffondere in tutto il mondo dagli anni Settanta in poi - Bob Marley viene raccontato con ampi flashback che lo inquadrano dall’infanzia povera e precaria per planare fino ai trionfi planetari che, insieme al fedele gruppo dei Wailers, lo impongono nelle classifiche e soprattutto nei gusti del pubblico mondiale.
La musica che Marley ha saputo diffondere è ampiamente presente nel film del regista americano
Reinaldo Marcus Green, che utilizza le canzoni in funzione centrale nella storia, a supporto della narrazione e dell’interpretazione del protagonista, Kingsley Ben-Adir, attore inglese con origini caraibiche, un Bob Marley assai convincente, anche nelle performance vocali.
La traiettoria di One love attraversa gli anni caldi dei disordini che infiammarono la Giamaica, e che lo stesso Marley, vittima di un attentato nel 1976, dall’alto del carisma e della sua popolarità, aiutò a contenere, prima di essere costretto a emigrare in Gran Bretagna, per mettere in sicurezza la famiglia e mandare in porto i suoi dischi-capolavoro. Il film, di cui è coproduttore Brad Pitt, si sofferma sulla contesa politica dei leader di schieramenti contrapposti, che Marley saprà portare alla riconciliazione anche grazie alla sua filosofia, sintesi tra misticismo visionario e richiami alle radici panafricane, proprie della sua fede Rastafari. Quegli ingredienti verranno plasmati con una straordinaria abilità e sensibilità artistica, e messi al servizio di canzoni che restano inni senza tempo né confini: Jammin’; Get up, stand up; Natural mystic; Exodus; Rastaman vibration; No woman, no cry; Redemption song.
A garantire l’aderenza alla realtà di un’esistenza travagliata e fittissima di eventi, per il suo lavoro Green ha potuto contare sulla collaborazione della moglie e corista di Bob, Rita Marley, e di almeno tre dei 12 figli, Cedella, Stephen e il più noto Ziggy, oggi affermato musicista: «Siamo orgogliosi di condividere la storia di mio padre con questo film», ha detto, «e di continuare a diffondere i suoi messaggi attraverso la musica, che è ricca di consapevolezza, unità e amore: le sue parole e il modo in cui ha vissuto hanno sempre ispirato le persone ad essere migliori».
E in effetti Bob Marley conserva intatto il fascino di guru, abile nel veicolare con il suo esempio artistico
Siamo orgogliosi di condividere la storia di mio padre con questo film
— Ziggy Marley figlio di Bob
segnali di pace e di concordia capaci di influenzare generazioni intere.
CANTÒ IN ITALIA UN ANNO PRIMA DI MORIRE
Marley era sorridente, getile, emanava energia, e sembrava venire da un altro pianeta
— Pino Daniele
One love si sofferma sui rapporti fraterni tra Marley e i suoi amici di musica, complici di tutte le principali avventure discografiche e sul palco, ben ricostruite da Green che accompagna Bob fino alla morte, avvenuta l’11 maggio 1981, in Germania, per un tumore non curato.
L’epopea di quello che fu il punto di forza di una carriera stellare, gli appuntamenti dal vivo, risulta necessariamente marginale nello svolgimento del film: chi ebbe la fortuna, il privilegio di assistere a uno dei concerti di Bob Marley e i Wailers, invece, ne conserva un ricordo indelebile. In Italia arrivò solo per un paio di tappe, il 27 e 28 giugno 1980, a Milano e Torino, affollatissime e di gioia condivisa: specialmente la serata di luna piena allo stadio di San Siro, ricolmo di quasi 100 mila spettatori, passerà alla cronaca, suggerendo anche un romanzo, L’estate di Bob Marley (di Paolo Pasi, Tullio Pironti Editore). Quella data di festa riaprì di fatto l’Italia alla stagione dei grandi concerti. Sul palco, nel sole del pomeriggio salì anche un giovane Pino Daniele, amatissimo seppure alle prime armi: un set di nove canzoni, con la band, tra cui Chillo è nu buono guaglione, Je so’ pazzo, A me me piace o’ blues. Nel libro Yes I know Pino Daniele (Hoepli, 2020), l’autore Carmine Aymone ne riferisce le impressioni: «Restai a parlare con Bob per una mezz’ora, sommersi dal fumo della marijuana, mentre fuori la gente gridava il suo nome. Era carismatico e molto curioso, mi fece tante domande su dov’ero nato, su Napoli, sulla sua cultura. Sorridente, gentile, emanava energia, e sembrava venire da un altro pianeta».