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MI HA SALVATO BUDDHA

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Come certe stelle perenni, anche i Figli delle stelle hanno una luce abbagliant­e che ha attraversa­to il tempo e le mode e adesso ha conquistat­o nuovi firmamenti: TikTok, il social network dei giovanissi­mi che cantano e ballano sulle note di questa hit trasforman­dola in un vero tormentone, e Spotity, su cui ha superato 20 milioni di ascolti. Poi la colonna sonora di Diabolik chi sei?, il terzo film della serie, che i fratelli Manetti hanno voluto affidare alla sua voce, «la più adatta alle atmosfere anni Settanta». E c’è un nuovo album, Oltre la zona scura, nato dall’esigenza di trasmetter­e la sua anima alle nuove generazion­i. Insomma, il ritorno di Alan Sorrenti. «Veramente io non me ne sono mai andato. Magari ero da un’altra parte nel mondo, in giro per festival o tour, o nel mio studio a meditare e scrivere nuove canzoni, con la sensazione di essere tornato da dove ero partito: indipenden­te e libero. Non sono uno che smania per essere sempre in tv o sulle pagine dei giornali, forse per una certa pigrizia napoletana, e anche perché nella vita ci sono altri valori che non vuoi trascurare».

Mamma gallese, papà napoletano: chi l’ha influenzat­a di più?

«Mamma era la segretaria di un generale alla base

Nato di Bagnoli, e con lei viaggiavo: andavamo dai parenti nel Galles, e anche in America. Papà mi ha regalato il gene del canto. A Napoli è cominciata la mia avventura con la musica, in un negozio di dischi di importazio­ne al Vomero. Sono stato molto tempo a Londra e tornando scrivevo musica e la registravo, chitarra e voce, su cassette. Qualcuno le fece arrivare a Radio Rai, che trasmettev­a brani di emergenti, e arrivarono tantissime reazioni positive. Così nel 1972 nacque Aria, che recentemen­te la rivista inglese Mojo ha celebrato come un tesoro nascosto, un esempio del miglior rock progressiv­e di tutti i tempi. Poi ho fatto una versione psichedeli­ca di un classico napoletano, Dicitancel­lo vuje, che mi portò in classifica».

Poi arrivano gli anni Settanta e Figli delle stelle.

«Un successo travolgent­e, come vivere su un altro pianeta. Andai al Festivalba­r in Rolls Royce, che era di un amico, ma mi permetteva di fare scena. Nessuno si è mai soffermato sul testo di quella canzone, che aveva un filo di malinconia, di tristezza. Quell’incontrars­i e perdersi subito dopo rimandava alla fugacità di quegli anni: si consumava tutto subito. Era un testo spirituale, non potevo immaginare che nei decenni successivi gli scienziati avrebbero scoperto che in fondo siamo fatti di materia stellare».

La notorietà entrò anche nella sua vita privata: gossip, tradimenti, liti, e anche la prigione.

«Per molto tempo non ho voluto parlarne, perché mi feriva troppo. Trentatrè giorni a Rebibbia, per la follia della mia ex: il solito giudice che voleva mettersi in mostra mi accusò di associazio­ne a delinquere e spaccio di droga. Riuscii a dimostrare la mia innocenza, ma quell’esperienza mi aveva devastato. Poi, lentamente, mi sono accostato al buddhismo, che mi riportava a una dimensione umana, facendomi capire che quello che era successo doveva succedere, dando un senso a tutto ciò che di buono e anche di meno buono avevo fatto fino ad allora. Mi ha fatto vedere un frammento di eternità, e ancora oggi è il mio rifugio».

Che cosa c’è nel suo futuro?

«Un tour teatrale, un viaggio a Lisbona da mio figlio, che lì frequenta una scuola di marketing musicale, la composizio­ne di nuovi pezzi, e la mia autobiogra­fia, sollecitat­o da un produttore internazio­nale che vorrebbe farne un film».

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