La vera Gemma di Dante
L’Alighieri l’ha trascurata, Giovanni Boccaccio ne ha parlato male, ma la moglie del poeta fu importante. Lo spiega un romanzo in edicola con
Ascuola era un accenno: verso il 1285 Dante Alighieri sposò Gemma Donati, di nobile famiglia, che gli diede tre, anzi quattro figli (solo dal 2016 si considera certo il primogenito Giovanni). Dopodiché la scena femminile è tutta per Beatrice, ossia Bice Portinari. Al limite, si diceva, un riferimento alla moglie potrebbe trovarsi nelle Rime Petrose, scritte tra 1296 e 1301, quattro componimenti che Dante dedica all’amore per una certa Petra (vedi mai che stesse per “pietra”, “pietra preziosa”, ossia “gemma”). Invece non è andata così. Ce lo dimostra Marina Marazza in un corposo e appassionante romanzo, La moglie di Dante, edito da Solferino e in edicola per un mese con Oggi eil Corriere della Sera (a 9,90 euro), a partire, non a caso, dal 25 marzo, Giornata Dantesca. E per carità non chiamatela “musa”, tra le parole più abusate ed equivoche (le Muse erano dee, altro che passive ispiratrici): Gemma è stata una donna decisiva nella vita del poeta fiorentino. Ma anche una persona in grado di mantenere il timone mentre la famiglia attraversava la tempesta e Dante era lontano. La pessima fama di cui ha a lungo goduto è colpa di Giovanni Boccaccio che, nel Trattatello in laude di Dante, del 1362, si concede una lunga quanto misogina digressione sul matrimonio e accusa di noiosa petulanza la povera Gemma, che sarebbe stata appioppata a Dante perché dimenticasse Beatrice. Secondo l’autore del Decamerone, Gemma avrebbe distratto il marito dai suoi alti pensieri e lo avrebbe costretto ad “ascoltare i femminili ragionamenti”. È curioso perché se c’è una cosa che Dante apprezzò fu proprio la capacità delle donne di discorrere (anche) di sentimenti: «Donne ch’avete intelletto d’amore, i’ vo’ con voi de la mia donna dire…». In ogni caso è solo di recente che la figlia di ser Manetto, cugina del condottiero Corso Donati, del poeta Forese e di Piccarda Donati, strappata al convento per un matrimonio forzato con il violento Rossellino della Tosa (Dante la incontra nel Paradiso), è stata rivalutata. Benché le notizie su di lei siano scarse, Marazza le restituisce una storia e una dignità e fa suo ciò che Boccaccio disse e che la scoperta recente di una storica francese ha avallato: Dante e Gemma si sposarono nel 1293, quindi dopo la morte di Beatrice, e non si fidanzarono, come si è a lungo creduto, nel 1277 quando lui aveva 12 anni. Marazza, ricorda, fra l’altro, che, quando tutti i beni del poeta in esilio furono confiscati, compresa la dote di lei (200 fiorini piccoli), Gemma riuscì a rivendicarne la rendita in sacchi di grano. Certo, La moglie di Dante è un romanzo, ma tutti i personaggi sono autentici e, a parte qualche dettaglio modificato per esigenze narrative, emerge bene ciò che accadde: mentre Dante era fuggiasco, Gemma tenne insieme la famiglia, e subì, in un primo momento, anche lei l’obbligo di lasciare Firenze, benché le donne non potessero prendere parte alle diatribe politiche cittadine e ne subissero solo le conseguenze. Non si perse mai d’animo e se l’opera di Dante ci è arrivata è anche grazie a lei, che suggerì pure alla figlia Antonia, che si era fatta monaca, di scegliere come nome Beatrice.