LA NEMESI DELL’OLIVETTI
Com’è che l’uomo che tentò di uccidere mediaticamente il Cav oggi viene accusato di omicidio. E il suo giornale, ovvio, lo assolve.
Il 13 giugno la Procura di Ivrea ha chiesto per Carlo De Benedetti sei anni e otto mesi di reclusione. L’accusa? L’omicidio colposo di una ventina di dipendenti della Olivetti, tutti morti di cancro: operai e impiegati uccisi dall’amianto consapevolmente utilizzato nelle lavorazioni dell’azienda di cui l’Ingegnere fu amministratore delegato dal 1978 al 1996. Tradendo la sua linea editoriale, da sempre tesa al sostegno di qualunque tesi provenga dall’accusa, su Repubblica la cronaca dal Tribunale di Ivrea gronda garantismo e innocentismo a ogni riga. È inevitabile: il livore giustizialista, quando la gogna rischia di applicarsi all’editore, diventa balsamo. A ben vedere, è un paradosso curioso, quasi una nemesi storica: viene accusato di omicidio l’uomo che per 20 anni ha tentato in tutti i modi di uccidere mediaticamente Silvio Berlusconi. E là dove nessuna difesa veniva garantita al nemico, ecco che Repubblica sposa la tesi difensiva: alla Olivetti vigeva un «articolato sistema di deleghe» che impediva al vertice di sapere quanto veniva fatto per la sicurezza ambientale. E l’amianto? Repubblica giura che si scoprì fosse pericoloso soltanto dopo il 1992. Al centro del processo è l’impiego massiccio della tremolite, un talco d’amianto usato per fare scorrere meglio i cavi elettrici nei computer prodotti a Ivrea. I pm hanno scoperto che già nel 1981 l’Olivetti sospettava che la tremolite fosse letale, tanto da chiedere lumi all’ateneo di Torino. La risposta di Enea Occella, luminare del campo: sì, di tremolite si muore. E la raccomandazione: «Non usare il talco di tremolite, in alcun modo». Avvertimento ignorato. In aula, il pm ha ricordato che all’Olivetti i poteri dell’amministratore delegato erano amplissimi e non c’è traccia di deleghe fino al 1993. A decidere sull’amianto, insomma, poteva essere solo una persona: l’imputato Carlo De Benedetti.