Panorama

BIO GRA FIA

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dal mare per portare in salvo le barche d’inverno. Oggi nessuno pesca più sardine, ma ci sono i caffè. Dove tutto il paese fa la sua vita e si ritrova. Quasi un quadro: lei ama i musei d’arte. Ho un pass che mi permette di entrare e uscire quando voglio. Adoro i grandi quadri di battaglia, in cui il pittore infila però un cagnolino, un mendicante o un uccello che indifferen­ti guardano la nave che brucia. Amo il Rijksmuseu­m di Amsterdam e tutti i musei di provincia francesi. A La Rochelle c’è un quadro potente, di Henri-Paul Motte: ritrae il cardinale Richelieu che ispeziona il porto per guardare le navi inglesi prigionier­e del loro stesso assedio, che durerà due anni. La città capitolerà senza condizioni. Ci furono episodi terribili, ma Richelieu sembra calmissimo. Mi attira sempre molto, questo quadro, non so perché. Nel suo libro si parla molto anche di Italia. I luoghi degli anni Settanta. Piazza del Popolo, a Roma: in quei due caffè che si fronteggia­no si aveva l’impression­e di essere al centro del mondo. Tutto riluceva, si parlava di tutto. E poi il chiostro di Santa Maria delle Grazie, a Milano: la mia protezione. Dove va più spesso con i suoi autori? Per gli scrittori i luoghi sono un tema intimo, che contiene un segreto, come gli amori. Con Houellebec­q c’è a Parigi un ristorante thai dove mangiamo Nata ad Alessandri­a d’Egitto nel 1945, padre italiano e madre anglo-spagnola, Teresa Cremisi seguì i genitori a Milano al momento della crisi di Suez, nel 1956. È stata membro del cda di Rizzoli e del Corriere della Sera, oltre che della Fenice, per 22 anni è stata alla Garzanti, poi al timone di Gallimar e di Flammarion. Tra poco arriverà in Italia ospite della Milanesian­a, per una serata di letture insieme a uno degli autori che ha scoperto, Michel Houellebec­q. FREQUENTAT­RICE DI MUSEI Il preferito di Cremisi è il Rijksmuseu­m di Amsterdam.

sempre i granchi. Un’abitudine preziosa, ma perché sia nata è un mistero. Vicino a Gallimard c’è un piccolo caffè, che si chiama L’ Espérance, dove per 16 anni ho bevuto il caffè con persone molto care, come Milan Kundera. Non ha nulla di chic, ma dietro c’è una saletta piccolissi­ma che puzza di zuppa alle cipolle, dove si sta in pace. Le mete irrinuncia­bili della sua città natale, Alessandri­a d’Egitto? Alessandri­a non è mai stata una città, ma un lungo nastro che scorre tra il mare e un lago, il Maryut. Aveva un milione di abitanti, allora, adesso ne ha nove. Fascino, ne ha ancora: facciate per ritrovare l’art déco nascosta da decenni di intonaci successivi. Però tutto è travolto, le porte di un tempo sono mezze divelte. C’è un albergo, il Cecil hotel, che ha ospitato Lawrence Durrell: fino a poco tempo fa i muri avevano assorbito qualcosa. Lei dove abitava? La mia casa dava sullo Sporting Club, dove si giocava a golf. Ora non so chi ci vada più. Era una città di grazia e fascino dove tutte le ragazze, di ogni religione, si trovavano sulla spiaggia sette mesi l’anno. Oggi non ci si può scoprire e quindi nessuno fa più il bagno. Nemmeno i bambini maschi. Perché sono le mamme che insegnano a nuotare, no?

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