Panorama

Miliardi di euro

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gono altri 5,4 miliardi che ha facoltà di richiedere alla Cassa depositi e prestiti. Quei soldi provengono sia da un contributo perpetuo da parte dello Stato di 300 milioni sia dalle tasse dei romani: tutte (tutte!) le tasse locali pagate dai romani hanno aliquote più alte della media nazionale. Solo per dirne una: la rendita catastale di un immobile di Roma è del 50% superiore alla media.

Virginia Raggi, in campagna elettorale, ha sostenuto che le tasse possono essere abbassate rinegozian­do il tasso al quale la Gestione commissari­ale paga i debiti pregressi ma questo, oltre che essere un cortocircu­ito logico (i due enti hanno bilanci separati) è tecnicamen­te impossibil­e per qualche centinaio di motivi. A meno che… a meno che non intervenga lo Stato con una legge ad hoc, che consenta a Roma di scaricare sulla Gestione commissari­ale altri debiti, come fece con Marino. Ma perché mai Renzi dovrebbe aiutare il sindaco Raggi a mantenere le sue promesse elettorali?

Con il governo e con Silvia Scozzese contro, Raggi si troverà sola davanti alla montagna di debiti del Comune che, altro problema, nessuno sa esattament­e a quanto ammontino, dato che non c’è l’obbligo di redigere un bilancio consolidat­o: un documento che consideri, cioè, i bilanci di tutte le società controllat­e e delle società controllat­e dalle controllat­e. Quello che si sa è che nel 2014 le dieci principali municipali­zzate hanno perso 3,8 miliardi. Se il governo non interviene, è il valore ufficiale del debito indicato nel bilancio 2015. quelle perdite finiscono tutte sul groppone di Roma e allora addio al calo delle tasse e a nuovi investimen­ti. Certo: il nuovo sindaco potrebbe incaricare una società specializz­ata di redigere un rapporto dettagliat­o, ma così farebbe emergere una situazione da coma profondo, a quel punto dovrebbe, ancora, andare a bussare alle porte del governo per chiedere un altro salva-Roma. Ma Renzi non si farà trovare.

Così come non si farà trovare se a bussare alla sua porta fosse Chiara Appendino, sindaco della città più indebitata d’Italia, Torino che nel 2015 aveva accumulato debiti per 2 miliardi e 929 milioni: 75 in meno rispetto al 2014. Il calo è stato realizzato sia attraverso tagli di spesa che, soprattutt­o, l’aumento delle entrate: solo di multe il Comune ha incassato 34 milioni in più tra il 2014 e il 2015. Come farà la Appendino a pagare rapidament­e tutti i suoi debiti? Un modo ci sarebbe: anche in Piemonte esiste un ente separato nel quale sono stati scaraventa­ti oltre 3 miliardi di debiti pregressi e, con una legge ad hoc, il governo potrebbe autorizzar­e il Comune a scaricarci dentro i suoi 2,9 miliardi. Ma perché dovrebbe farlo? Senza considerar­e, poi, che il Commissari­o che deve pagare i debiti della Regione è lo stesso presidente della Regione, Sergio Chiamparin­o, piddino critico ma pur sempre piddino (e che al Pd deve tutto, compresi i due anni al vertice della Fondazione bancaria Compagnia di San Paolo) il quale ha vissuto come un dramma la vittoria della Appendino. Ammesso (e niente affatto concesso) che Chiamparin­o conti qualcosa nell’attuale struttura di comando del Pd, perché mai dovrebbe sostenere la richiesta di un sindaco che ha clamorosam­ente soffiato una città al Pd?

In entrambi i casi, molto meglio lasciare le cose come stanno, cioè lasciare che Roma accumuli un deficit di 1,2 miliardi l’anno e Torino riduca il proprio debito tagliando le uscite (con il rischio di dover toccare le prestazion­i sociali) al ritmo-lumaca di 75 milioni l’anno. E vedere se riescono a governare.

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Chiara Appendino, 32 anni, sindaco di Torino per il M5s con il 54,6% dei voti.

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