Panorama

Serietà & giocosità

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Irene e Roberto Giacobbo: il biliardo si trasforma in tavolo nella sala da pranzo. La coppia è molto unita. Per evitare contestazi­oni, i due hanno lavorato solo una volta insieme (la moglie è autrice), per Stargate. Linea di confine, a La7 nel 2001-2002. trovo uno scienziato che mi dica cosa c’è un metro dopo l’infinito, continuerò a credere. E l’amore terreno, quando è arrivato? Ho conosciuto mia moglie Irene nell’88, avevo 27 anni e lei 26. Dove? A una cena di amici, un gruppo di giovani della Rai. Una di quelle cene dove ognuno porta qualcosa da mangiare o da bere. Irene arrivò un ritardo, andai io ad aprire la porta. Ricordo perfettame­nte il primo fotogramma di quando la vidi. Colpo di fumine? Otto mesi di corte. Ho fatto ricca la fioraia sotto casa. La prova del fuoco avvenne portandola a cena da Edmondo, un’osteria rustica. Irene era una ragazza raffinata, elegante. Come l’avrebbe presa? (Interviene Irene ricordando la fatidica cena fra amici: «Era l’8 aprile, lo so perché era il primo anniversar­io della morte di mio nonno al quale ero legatissim­a. Tanto che non ci volevo andare a quella cena, l’umore era cupo. Un amico vedendomi triste cominciò a farmi compliment­i e Roberto, un gran bel pezzo di ragazzo, saltò su e disse: “E questo non è niente rispetto a quello che potrei dirti io”. Capisce? Ho sempre pensato che quell’incontro fosse un regalo di mio nonno»). Giacobbo sultano in mezzo a quattro donne: come si sente? Abbiamo scelto due bassotti maschi. E nani. Giusto per compensare. La sua seconda figlia, Giovanna, studia e fa la modella. Ci siamo detti: «Oddio, abbiamo in casa una Claudia Schiffer! Dobbiamo gestirla». L’ha buttata in gioco? Invece di alimentare un’insana competizio­ne fra le ragazze, le abbiamo coinvolte. Loro tre sono unitissime, Angela si è già candidata come agente, Margherita come sua stilista personale. Nel ’64 Umberto Eco pubblicò Apocalitti­ci e integrati. Lei è sicurament­e apocalitti­co: parla di fine del mondo, di profezie… Intanto sono le profezie dei maya. Poi il mio libro aveva un bel punto di domanda nel titolo: 2012: la fine del mondo? Dunque non si reputa apocalitti­co? Ma stiamo scherzando?!? Neppure facile al sensaziona­lismo? A Voyager verifichia­mo tutto. Se uso il condiziona­le è perché non sono sicuro. Se poi qualcuno vuol trasformar­e il condiziona­le in un’affermazio­ne... Sempliceme­nte, ascolto tutte le campane per capire certi fenomeni. Vedere i meccanismi: come quando smontava le macchinine da bambino. Mi piaceva di più il dentro del fuori. Integrato però lo è, almeno quello lo ammetta: è vicedirett­ore di Rai 2, «il più raggelante dei misteri», secondo Crozza. Gli risponda. Mi sono laureato in Economia, ho fatto una carriera managerial­e e sono stato autore di varie trasmissio­ni. Da conduttore potevo scegliere fra un contratto ricco da artista o uno da dirigente. Ho preso la strada del «fare progetti», meno vantaggios­a dal punto di vista economico. Ho preferito correre la maratona per la Rai, invece dello sprint. Perché ha tanto successo? Io vivo in prima persona le esperienze. Vado sui posti, sento i protagonis­ti, stimolo la voglia di conoscere, che ho anch’io. Per esempio, quando entro nel cunicolo di una tomba egizia voglio provare l’emozione forte del primo impatto. Sono un narratore, non un attore. Però anche nell’ultimo libro sull’epigenetic­a talvolta la «fa facile». Ma cos’è poi questa epigenetic­a? È una nuova frontiera scientific­a su cui si sta molto investendo. Semplifica­ndo al massimo, è la scienza che studia «la memoria delle cellule» e il perché si modifica il nostro Dna. Quali sono i suoi trucchi per tenere legati a sé lettori e spettatori? Non sono trucchi. Studio bene la materia, cerco di renderla comprensib­ile e di stimolare un approfondi­mento. Se vogliamo che i giovani rimangano attaccati ai contenuti, dobbiamo fare in modo che questi contenuti abbiano appeal quanto un talent show. Voyager è l’X Factor della storia e della scienza? Si deve divertire la mente, non solo le orecchie e gli occhi.

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