Quelle mamme di noi figli gay
Un famoso giornalista e disegnatore, omosessuale, racconta il legame particolare con la madre: un amore fatto di complicità e comprensione. Come dimostrano anche gli ultimi messaggi di molti dei 49 giovani uccisi a Orlando, nella strage del nightclub Puls
Negli anni Novanta mia mamma, quando si accorge che la sua fine è vicina, chiama il mio compagno e gli dice: «Mi raccomando, quando io non ci sarò più prenditi cura di Fabrizio». Il giorno del funerale, un 16 aprile, in una bella giornata di primavera, il mio compagno rivela la fantastica richiesta di mia madre. Non sono mai stato così felice come in quel giorno, che sarebbe potuto essere invece il più triste. Finalmente si svela la verità del grande amore tra mia madre e il figlio gay: io, sempre omosessuale dai 18 anni in poi. Ne ho passate tante, tutte con al fianco la mamma, per aggiustare il mio fisico danneggiato fin dalla nascita, da quando mi sono liberato da ingessature e ospedali.
Poi il mio compagno è morto prima di me, io sono destinato a sopravvivere a tutti quelli che si prendevano cura di me. La mia omosessualità non era mai stata palesata in famiglia. Però a una madre come Zelinda bastavano i miei sguardi e i miei silenzi per capire tutto. Lei era coscientemente ignara, più facile far finta di niente piuttosto che gestire questa verità in un posto come Siena. Ricorderò sempre il suo sguardo che si incrociò con il mio mentre stavo mangiando le rane fritte, a pranzo, a Chiaravalle con lei e mio padre venuti a Milano per controllare il figlio che studiava a Brera e viveva in mezzo alla perdizione.
Mio padre per la prima volta in vita sua mi fece domande sulla droga e sui gay. Io guardo mia mamma che in silenzio esprime l’approvazione per come ero, forte di questa reazione riesco a dribblare il discorso, in questo sono sempre stato bravissimo. In questi giorni il rapporto madre e figlio omosessuale è purtroppo andato in prima pagina.