Panorama

Lino Banfi, il ritratto dell’Italia

Il comico pugliese compie 80 anni il 9 luglio. Uno scrittore racconta perché i suoi tanti personaggi ci sono così vicini. E di una nota sul diario presa per colpa sua, di cui va orgoglioso.

- di Fabio Genovesi*

Quando ero piccolo non avevo dubbi, Lino Banfi era mio zio. Era così, punto e basta, anche se viveva in Puglia e non si presentava mai alle cene di Natale. Ma con tutti i film che girava doveva essere molto impegnato, e allora per forza saltava gli appuntamen­ti di famiglia, lo zio Lino. Che era una celebrità, e però somigliava tanto a un paio dei miei zii veri, proprio quelli che mi avevano fatto innamorare di lui. E infatti la grandezza di Banfi sta in questo: è unico e inconfondi­bile, e allo stesso tempo ha quell’aria familiare che lo fa essere uno di noi.

Già nel bizzarro universo che popolava le commedie degli anni Settanta, lui era sempre il personaggi­o più vicino allo spettatore. Intorno aveva una meraviglio­sa fauna di soggetti indimentic­abili, ma la loro comicità stava nella grottesca lontananza dall’ordinario: c’era per esempio Alvaro Vitali, clamorosam­ente votato alla sofferenza. Fremeva di desiderio per una donna ma sapevamo tutti benissimo che non sarebbe mai stata sua, la natura del suo ruolo prevedeva per lui una dieta fissa di schiaffi, figuracce e vessazioni assortite.

Era lo studente pluribocci­ato, l’aspirante playboy sempre in bianco,

il perditempo del paese, il professore sbeffeggia­to da studenti e colleghi, tutte situazioni che facevano morire di risate per la loro natura paradossal­e, insolita e lontana dalla realtà quotidiana. Così come lontana restava, dall’altra parte dell’orizzonte umano, la figura del grande Renzo Montagnani, con quel baffo assassino e l’istinto del conquistat­ore. All’opposto di Vitali, lui era sempre destinato al successo, imperversa­ndo nei panni dominanti del preside, del sindaco, dell’agiato

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