Il Mausoleo di Teodorico
in cui, relitto della grandezza perduta e del mare che nei secoli si è allontanato, si apriva il porto che Augusto costruì per schierarvi la potenza navale di Roma. Se i resti dell’antico porto sono stati ora riportati alla luce e sono visitabili, i mosaici la loro luce non l’hanno persa mai. Brillano di colori vivi e di ori con una maestosità che sfida i secoli, e che mette a dura prova la capacità di sopportare tanta bellezza. Carl Gustav Jung non ne venne forse travolto quando, nel 1934, si trovò ad ammirare le volte musive nel battistero Neoniano perdendosi in un incanto che gli confuse percezione e memoria e gli fece vivere quella che definì «un’esperienza paranormale»? Il grande musicista Cole Porter non compose forse la immortale Night and Day stimolato dall’ammirazione del cielo stellato raffigurato sul soffitto del mausoleo di Galla Placidia? E geni della pittura come Klimt, Klee e Kandinsky non stravolsero forse il loro modo di dipingere dopo l’incontro con i mosaici ravennati? Capolavori come il Ritratto di Adele Bloch-Bauer o Il Bacio di Klimt sono proprio un richiamo diretto alle figure ieratiche dell’imperatrice Teodora e di altri personaggi che brillano in San Vitale. Del resto Ravenna, dal punto di vista delle testimonianze storico-artistiche, Venne costruito intorno al 520 da Teodorico il grande, re degli Ostrogoti, come sua futura tomba. ha pochi rivali. La città intera è stata riconosciuta dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità e contiene ben otto monumenti iscritti nella World heritage list. Quando Borges, nel suo L’Aleph, volle trattare della meraviglia che dovettero provare i guerrieri del nord nell’addentrarsi in un territorio ancora impreziosito dalla bellezza e dalla cultura, non lo fece forse raccontando la storia di Droctulf, il soldato longobardo che abbandonò l’esercito invasore per trasformarsi da assediante in difensore di quella Ravenna che l’aveva abbagliato? Sarebbe lungo l’elenco dei grandi letterati che vennero colpiti da questa città e la cantarono. Innanzitutto Dante, che qui visse il proprio esilio, morì e probabilmente scrisse gran parte della Divina Commedia, e di cui la città ospita la tomba. Un monumento collocato nella centralissima e commovente «zona del silenzio», piccolo, aggraziato e così modesto che i ravennati lo chiamavano scherzosamente «la piviròla», il macinino da pepe (che contrasto col possente mausoleo di Teodorico che solido, essenziale e austero sorge in un vasto parco cittadino!). E poi Boccaccio, Dryden, Lord Byron. E ancora, solo per citarne alcuni, Oscar Wilde, che le dedicò un lungo poema, Chateaubriand, Henry James, Yeats, Le Corbusier, Eliot, Pound e tanti altri. Se Hermann Hesse confessò che a Ravenna avrebbe voluto viverci, se altri misero l’accento sulla fascinazione romantica, decadente e tutta sentimentale derivante dalla «città dolce morta»