È iniziata la battaglia finale per il dopo-Renzi
È un riflesso automatico molto rischioso. Una vera malattia capace di trasformare in pochi mesi la marcia trionfale dell’Aida di Giuseppe Verdi nella Messa da requiem di Johann Sebastian Bach. Si chiama «sindrome da governo», cioè l’attrazione verso il potere a ogni costo, senza valutarne rischi e vantaggi. Un virus letale, che ha già mietuto molte vittime (vedi Angelino Alfano) e probabilmente ne mieterà ancora ( Denis Verdini). Il problema ora è che in autunno, proprio come l’influenza, anche il resto del centrodestra potrebbe esserne contagiato. Il motivo è semplice: ormai l’epilogo renziano è scritto. Tutte le ipotesi per scongiurarlo (lo spacchettamento del quesito referendario, il rinvio della data della consultazione, le modifiche alla legge elettorale) sono espedienti in stile Giorgio Napolitano che rischiano solo di peggiorare la situazione. Tentativi che possono solo indispettire l’opinione pubblica: come si possono mettere in discussione pezzi o parti della riforma, col rischio di renderla contraddittoria e incompiuta? O modificare una legge elettorale senza conoscere il quadro istituzionale di riferimento? Già, sarebbe del tutto illogico, ma Matteo Renzi conosce bene il più importante comandamento della politica, «primum vivere», per cui tenterà di trovare una via d’uscita cercando in tutti modi di coinvolgere altri interlocutori e puntando a rompere il fronte dell’opposizione alle sue riforme. E, naturalmente, l’obiettivo privilegiato saranno soprattutto il Cav e i suoi, che continuano a godere di un notevole seguito elettorale (vedi elezioni amministrative). Le sirene già stanno facendo sentire i loro canti dalle parti di Arcore. «Non hanno capito» conferma Renato
«che la prima condizione è che Renzi vada a casa. Su questo anche il presidente non ha dubbi. Qualunque altra ipotesi avrebbe come conseguenza una rottura insanabile con il nostro elettorato». La questione si riproporrerebbe però anche all’indomani del referendum. Già girano nomi per il dopo Renzi, da Dario Franceschini a Pietro Grasso (ma contro il presidente del Senato gioca la parzialità filogovernativa con cui ha gestito il confronto sulle riforme). Tanto più che l’esigenza di mettere in piedi un governo non è campata in aria: se il referendum spazzerà via Renzi, le sue riforme e l’italicum, sarà necessario dare un’altra legge elettorale al Paese. Il problema, però, è se per raggiungere questo obiettivo il centrodestra, o una parte di esso, debba farsi coinvolgere in un governo o meno. Dentro Forza Italia c’è chi è lusingato da questa prospettiva (vedi Paolo Romani o Altero Matteoli), ma il rischio è enorme. Dopo Brexit la congiuntura si è fatta più sfavorevole e il prossimo governo, chiunque lo guidi, potrebbe essere obbligato a manovre economiche severe. Ecco perché c’è chi ne vorrebbe restare fuori. Nessuno dimentica che il volano del successo grillino fu quel governo di Mario Monti che Napolitano volle a tutti i costi per evitare le urne. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico: e non è tempo di Grosse Koalition da contrapporre alle forze anti-sistema (lo riconosce anche un estimatore della formula come Paolo Mieli). «Bisognerebbe andare a elezioni a marzo» sostiene Paolo Corsini, senatore della minoranza Pd. Lo schema meno problematico sarebbe forse quello di dar vita a un esecutivo il più neutro possibile, magari coinvolgendo tutti i partiti (pure il M5s, se possibile), che faccia la legge elettorale e porti il Paese alle urne in primavera. Sempre che non si voglia dar modo a Beppe Grillo di raggiungere il 51 per cento.
Chi è Keyser Söze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult I soliti sospetti, dove quel personaggio è interpretato da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresentante delle istituzioni, che su Panorama racconta la politica dal di dentro.