Alla bistecca intensiva preferisco la caccia
Il consumo globale di carne è insostenibile, sia come occupazione del suolo da parte dei bovini, sia come coltivazioni di cereali per sfamarli. Senza contare le emissioni di gas serra. E allora, diventiamo tutti vegani? Una soluzione più ragionevole, dice
JLA PROPOSTA eremy Rifkin, economista della Tufts University, già 25 anni fa nel suo lucido saggio Oltre la bistecca (pubblicato da Mondadori con il titolo Ecocidio) scriveva: «Il pianeta è popolato da 1 miliardo e 280 milioni di bovini che occupano, direttamente e indirettamente, il 24 per cento della superficie terrestre e consumano cereali coltivati capaci di sfamare centinaia di milioni di persone»; e poi «l’acqua necessaria a produrre 5 chili di carne bovina equivale al consumo domestico annuo complessivo di una famiglia media americana»; inoltre «nell’acqua che serve per dissetare un manzo di 450 chili si potrebbe far galleggiare un incrociatore»; quanto alla crisi atmosferica, proseguiva Rifkin, «il complesso bovino mondiale a cereali produce tre dei quattro principali gas-serra, metano, CO2, monossido d’azoto, in quantità intorno al 10 per cento del totale emesso da attività umane».
Dopo vent’anni, la Fao comunica che per produrre un chilo di carne di manzo Che fare, allora? Siamo costretti a convertirci al vege-veganesimo? Non necessariamente: un aiuto significativo potrebbe darcelo l’applicazione su larga scala della «rewilding economy»: ripristinare gli ecosistemi naturali laddove la trasformazione agro-alimentare storica non sia più vantaggiosa. Solo in Italia negli ultimi 50 anni la superficie boscata è raddoppiata e le aziende agrarie si sono più che dimezzate, specie in ambito collinare-montano. Su questi milioni di ettari s’è già strutturata una fauna selvatica estesa, sulla quale si potrebbe impostare una fiorente «wildlife economy».
La componente faunistica ungulata (cinghiale, cervo, capriolo...) già ora può fornire tonnellate di eccellenti proteine animali biologiche a costo di produzione zero. Tale processo potrebbedovrebbe essere integrato e magnificato dal «ritorno» di specie di enorme valore, sia economico che culturale: bisonte europeo, uro, tarpan. Il primo ancora presente in relitte aree centro-europee, il secondo e il terzo, progenitori del bue e del cavallo, estinti in epoca recente. La formazione di loro popolazioni rewilded consentirebbe, al pari di altre specie selvatiche, lo sviluppo di una diffusa attività economica basata sul loro uso sostenibile.
Tra gli usi (culturale, ricreazionistico, naturalistico, venatorio) del «complesso ungulato naturale» così ricostituito potrebbe primeggiare una virtuosa filiera della carne, priva di impatto ambientale in quanto integrata negli ecosistemi naturali e seminaturali. Si tratterà di riequilibrare il consumo di proteine animali a favore di una maggiore sobrietà quantitativa e a vantaggio di un salto di qualità nutrizionale ed economico. (Per approfondire: Bestiario Contemporaneo, Panorama.it)