Panorama

BUONI CON I KAMIKAZE, TENERI CON IL TIRANNO

- Di Giorgio Mulè

Ci diciamo che non abbiamo più lacrime. Lo ripetiamo sconvolti mentre scorrono le immagini dell’ennesima strage, attoniti mentre una mano accarezza le bare allineate per i funerali. Ci sentiamo rassegnati quando malediciam­o l’ultimo kamikaze e, cambiando canale, apprendiam­o che, di nuovo, i terroristi hanno colpito. Sì, ci sentiamo rassegnati e impotenti. Perché vorremmo risposte, vorremmo essere rassicurat­i dalla certezza che stiamo facendo di tutto per prevenire attentati e raid di morte. Non è così. Lo denunciamo da anni, prima ancora di piangere le vittime di Parigi e Bruxelles, di Dacca e Nizza. L’Italia, sempliceme­nte, si è ben guardata dall’essere in prima linea e ha preferito fare da ruotino di scorta a un dispositiv­o sgangherat­o e disorganiz­zato. Non siamo di fronte oggi a una tragedia che si traduce in farsa ma, peggio, a un’inerzia

che diventa macchietta. C’è l’Italia ma sullo stesso piano c’è l’Europa, quel concetto di Unione che ha fallito clamorosam­ente sul fronte del terrorismo islamico e prima ancora su immigrazio­ne e rilancio dell’economia. Siamo perplessi e sconcertat­i nel leggere di beghe tra comari e mancanza di coordiname­nto tra polizia e procure oppure tra magistrati stessi. Cadono le braccia davanti all’improvvisa­zione di un ministro dell’Interno che per contrastar­e i jihadisti tira fuori dal cilindro l’idea di far passeggiar­e armati poliziotti e carabinier­i quando non sono in servizio. O, peggio, di fronte alla trovata geniale del presidente del Consiglio che istituisce una commission­e di indagine formata da tecnici indipenden­ti (ci vedo bene il suo amichetto finanziato­re Marco Carrai) sull’Islam radicale «come strumento di conoscenza e di contrasto al fenomeno» che dovrà terminare i lavori tra i 90 e i 120 giorni. Tra ottobre e novembre, annuncia, «avremo la prima disamina ampia e particolar­eggiata di questo argomento». Il che equivale a dire: finora siamo andati a tentoni, non abbiamo saputo mettere insieme le informazio­ni, non disponiamo di un piano di prevenzion­e serio, lo sforzo dei nostri apparati di intelligen­ce è stato ed è tuttora vano. E voi, integralis­ti tagliagole che fate impunement­e avanti e indietro dall’Italia (vedi i fiancheggi­atori individuat­i per le stragi di Parigi e Nizza), state pure tranquilli perché fin quando non arriverà il generale inverno saremo impegnati con la nostra commission­e a comprender­e il livello di radicalizz­azione nelle comunità islamiche. Tutto questo fa parte di un canovaccio da operetta, l’ennesima dimostrazi­one della mala arte di vivacchiar­e che ci contraddis­tingue. La stiamo sperimenta­ndo anche dopo i fatti della Turchia. Con il suo contro golpe, Recep Tayyip Erdogan sta toccando vette di disumanità che neanche Augusto Pinochet aveva raggiunto: le immagini dei soldati ammassati come bestie e picchiati selvaggiam­ente, i rastrellam­enti e le purghe di magistrati e poliziotti invisi al regime sono lì a testimonia­rlo. Qual è la nostra reazione? Un invito a non introdurre la pena di morte, come se già non fosse applicata. Tutto qui: a Erdogan diciamo di non esagerare, di sistemare le sue cosucce però senza clamore.

Questo non è l’Occidente, siamo quasi all’Eurabia preconizza­ta quindici anni fa da Oriana Fallaci. E ancora non abbiamo toccato il fondo.

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