Panorama

La morte non mi ha tolto la gioia di vivere

Lei è Rita Fantozzi, giornalist­a che, a 47 anni, deve fare i conti con un tumore aggressivo. Una battaglia persa. E vinta al tempo stesso. Come ha raccontato lei stessa in un libro straordina­rio.

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Nell’introduzio­ne al suo libro più bello, Hitch 22 (Einaudi), il più grande giornalist­a e provocator­e inglese dell’ultimo mezzo secolo, Christophe­r Hitchens, scrisse: «Sono malato di cancro all’esofago al quarto stadio. Non c’è quinto stadio». Poco dopo la sua scomparsa, venne pubblicata una raccolta di saggi postuma, (Piemme) in cui descriveva la sua battaglia contro la malattia. Che però, raccontata da un guerriero come lui, pareva più una battaglia della malattia contro Hitchens. I libri in cui persone eccezional­i o normali decidono di condivider­e gli ultimi giorni o mesi di vita di una malattia terminale, o la parentesi dolorosa ma superabile di un tumore curabile, sono moltissimi. E vanno aumentando.

I motivi sono tanti, ma uno su tutti sembra il più convincent­e: condivider­e fa bene. A chi è malato e sa scrivere, a chi è malato e può leggere, a chi non è malato ma sa che prima o poi dovrà confrontar­si con il grande mistero della fine. La storia della giornalist­a Rita Fantozzi è però, se possibile, anche più eccezional­e di altre. Perché è davvero una storia qualunque. E una storia qualunque, di questi tempi, è una storia eccezional­e.

In Malata di vita, uscito a due mesi dalla tragica scomparsa della sua autrice, l’8 maggio scorso a 47 anni, Rita non li limita a raccontare l’inizio del suo viaggio verso la morte, il giorno della diagnosi infausta di tumore avanzato. Da lì però il libro parte. Ed è giusto, perché da quel momento è una partenza che si verifica: come avrebbe detto Hitchens, è il giorno in cui ci si trova deportati «dal paese dei sani oltre il desolato confine della terra della malattia». Le vite di chi è malato senza speranza appartengo­no «Malata di vita - Un anno con la chemio» di Rita Fantozzi (Imprimatur, 173 pagine, 16 euro). a un’altra terra. Né Rita si accontenta di descrivere come un tumore al pancreas abbia trasformat­o la sua vita in una lotta in cui il corpo non ha, paradossal­mente, l’ultima parola; perché sono la mente, e l’anima, e il carattere, a guidare l’esercito del Bene contro «l’Imperatore del Male» come definì il cancro nell’omonimo volume, monumental­e e imperdibil­e (edito da Neri Pozza), l’oncologo indiano Siddhartha Mukherjee.

Il libro è eccezional­e per questo, appunto: perché non parla esclusivam­ente di malattia ma, attraverso la malattia, ci sussurra all’orecchio che qualsiasi altra cosa si può superare. In questi casi il lavoro è il primo a venire travolto. Poi cominciano le rinunce. Basta viaggi, basta divertimen­ti, basta incontri con gli amici. E la vita diventano le cure, i farmaci. La storia di Rita invece (già redattrice dell’Adnkronos,

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