Alfano, l’uomo che parla del niente
Di questi tempi la scena politica è ricca di paradossi. Ma Angelino Alfano li batte tutti perché l’uomo politico è diventato un paradosso in sé. Privo di inibizioni, il ministro dell’Interno (e leader di quel che resta del Nuovo centrodestra) si muove in un universo parallelo, dove i numeri non esistono e la politica non si basa sul consenso ma sulle poltrone che come tutti sanno, specie in Italia, sono alquanto transitorie. Solo così si spiegano le condizioni che Alfano pone per il suo rientro nel centrodestra: via Matteo Salvini e Giorgia Meloni, dentro lui. Ora, se la matematica non è un’opinione (ma nell’universo alfaniano potrebbe esserlo), perché Silvio Berlusconi dovrebbe privarsi di due alleati che sul piano dei voti valgono dieci volte (il calcolo è per difetto) Alfano? Un interrogativo simile al «to be or not to be» di Amleto, che si porta dietro una questione più politica: se Ncd è sotto il due per cento ed oltretutto è anche diviso, non è che ha sbagliato completamente politica? Questo problema Alfie (come lo chiamano gli amici) non se lo pone affatto. Anzi, è sicuro di avere ragione lui, di aver precorso i tempi. Messo così, il suo ritorno a casa è davvero complicato visto che il personaggio non si sente per nulla nei panni del figliol prodigo, semmai si paragona a Cesare che torna a Roma da conquistatore. Solo che mentre Cesare aveva le sue legioni, Alfie al massimo comanda sulla carta una pattuglia litigiosa di cui buona parte (vedi Renato Schifani ei suoi) ha già disertato. E quelli che gli sono rimasti accanto, vedi Beatrice Lorenzin, hanno già trattato con Matteo Renzi un posto al sole. «È come parlare del niente», è il commento tranchant di Renato Brunetta. E anche se Berlusconi, in uno slancio ecumenico, sta tentando di tutto per rimettere insieme i cocci del centro-destra, non può non avere il dubbio che, a conti fatti, il ritorno di Alfie potrebbe far perdere consensi più che portarli. Un rientro che come minimo andrebbe preparato, a cui il personaggio dovrebbe approcciarsi con un minimo di umiltà: nessuno gli chiede in questo momento, a cominciare dal Cav, di far cadere il governo Renzi, ma sul referendum il ministro dell’Interno dovrebbe marcare una distanza con il «Sì», se non addirittura pronunciarsi per il «No». Una scelta che Alfie, a cui, da buon democristiano, piace tenere il piede in due staffe, non farà mai. Per cui c’è il rischio che convinto di essere Cesare, alla fine Alfie si ritrovi nei panni di Romolo Augustolo che, sempre sulla carta, fu imperatore per un brevissimo periodo. Poco meno, a stare appreso alle previsioni, della durata del governo Renzi.