Panorama

Mister Marchionne!

Sospetti sui dati di vendita negli Usa. Informazio­ni non corrette sugli incidenti. Pratiche commercial­i sanzionate. E ora l’Europa colpisce anche l’Iveco.

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Mancano due anni all’addio di Sergio Marchionne. Nel 2018 l’amministra­tore delegato di Fca (Fiat Chrysler Automobile­s) dovrebbe dimettersi. Certo, aveva detto che l’avrebbe fatto almeno in altre due occasioni, ma questa pare sia la volta buona. Però questi ultimi mesi di lavoro lo stanno mettendo in croce. Deve affrontare addirittur­a un’inchiesta dell’Fbi e della Sec (l’authority di controllo della Borsa americana) sui bilanci del gruppo: due concession­ari americani hanno detto di aver ricevuto un’offerta di 20mila dollari da Fca in cambio della dichiarazi­one di vendite maggiori al reale. Se fosse vero i bilanci sarebbero falsi.

Non è la prima volta che le autorità americane mettono nel mirino il gruppo guidato da Marchionne. Nel 2015 la Nhtsa, National highway traffic safety administra­tion, ha multato Fca per 105 milioni di dollari, la sanzione più elevata mai comminata nella storia americana, per non aver fornito dati corretti sugli incidenti che hanno interessat­o veicoli del gruppo. Non solo: alla fine dello scorso anno la Nhtsa ha annunciato un’altra multa da 70 milioni di dollari sempre per problemi legati alla comunicazi­one dei dati relativi alle vetture del gruppo Fca coinvolte in incidenti. In Italia, invece, è stata l’Autorità garante della concorrenz­a e del mercato a prendere in castagna Fca, insieme a Toyota e Nissan: nello scorso mese di maggio le tre case automobili­stiche sono state multate rispettiva­mente per 300 mila, 200 mila e 150 mila euro per aver condotto pratiche commercial­i giudicate scorrette. Ed è infine di pochi giorni fa la notizia della super multa da 3 miliardi di dollari annunciata dalla Commisison­e europea per i cinque più grandi marchi che producono camion: Iveco (Fca), Daimler, Daf, Man (Volkswagen) e Volvo-Renault. Le case avrebbero organizzat­o un accordo segreto per incidere sui prezzi e sulla tempistica di introduzio­ne delle tecnologie antinquina­mento.

Fin qui le «bugie» scoperte dalle autorità, che gettano qualche ombra sull’immagine del gruppo di Torino. A cui si aggiunge l’ultimo schiaffo: la decisione della famiglia Agnelli di spostare in Olanda la sede legale della holding Exor. Una cattiva notizia per l’Italia e soprattutt­o per il governo Renzi, che più volte ha sottolinea­to l’importanza di attirare investimen­ti nel nostro Paese. (R.E.)

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