Vi darò la mano (bionica)
Giovanni Di Pino, neurologo che ha perso l’uso delle gambe, sta creando un arto artificiale che dialoghi con il cervello. E per questo progetto ha ricevuto dall’Europa un milione e mezzo di euro.
La corazza di ritrosia e timidezza sembra impossibile da rompere: Giovanni Di Pino rifugge le foto, non sorride mai, e alle domande, all’inizio, risponde quasi a monosillabi. Ma nonostante l’understatement e lo sguardo sfuggente di chi detesta essere al centro dell’attenzione, non riesce a nascondere il carisma del genio. Perché Di Pino è uno scienziato visionario del quale, possiamo scommettere, sentiremo parlare per molto tempo: 36 anni, neurologo e ingegnere bio medico, l’enfant prodige dell’Università Campus Bio Medico di Roma si è appena aggiudicato lo Starting Grant, un finanziamento del valore di 1 milione e 500 mila euro che i 30 scienziati (tra cui vari premi Nobel) dell’European Research Council hanno deciso di affidargli per il suo progetto «Reshape»: dedicato alla messa a punto di una mano bionica che possa essere percepita, dall’amputato, come «propria», restituendo la sensazione che l’arto artificiale sia parte integrante del proprio corpo e del proprio essere.
« Quando, via mail, è arrivata la notizia del finanziamento che mi sono aggiudicato, quasi non volevo crederci» racconta Di Pino. «È stata una grande emozione, mi ha parzialmente ripagato di tanti anni difficili, e degli enormi sacrifici fatti per arrivare a questo punto». Sacrifici e difficoltà che non hanno scoraggiato Giovanni, nato a Giarre, in Sicilia, e arrivato giovanissimo al Campus romano, dove si laurea nel 2003 in Medicina con lode e menzione d’onore; è il primo del suo corso, trascorre un anno all’Università di Pittsburgh, e quando torna in Italia la sua carriera da ricercatore promette di prendere il volo.
Ma a poco più di un anno dalla laurea un incidente sportivo lo priva dell’uso degli arti inferiori (limitando anche quello degli arti superiori) e lo porta su una sedia a rotelle, lui che era un cultore della fisicità, ottimo istruttore di arti marziali: «Dopo l’incidente, sono stato ovviamente costretto a uno stop forzato, ho smesso di frequentare l’università e i laboratori, finché alcuni professori del Campus BioMedico, dove ero praticamente cresciuto, sono venuti a cercarmi a casa, per incoraggiarmi a riprendere a lavorare. Così ho deciso di iniziare un dottorato in ingegneria biomedica: volevo riuscire a integrare in me le due professionalità di medico e ingegnere, figura che in Italia quasi non esiste ma che invece