Panorama

La giravolta di Matteo sull’austerity e l’accusa (implicita) a Napolitano

- Di Keyser Söze

miliardi, sono 145 miliardi in più da quando Renzi si è insediato nel febbraio 2014.

Una pillola amara per il serio e compassato Padoan, la cui popolarità, secondo gli ultimi sondaggi, resta al 40 per cento mentre quella del presidente del Consiglio è scesa al 20. E non è l’unica frustrazio­ne. Lui è il primo azionista del Monte dei Paschi di Siena con il 4 per cento, ma è la Jp Morgan a imporre il proprio piano e un nuovo amministra­tore delegato, Marco Morelli. Il cambio di uomini e strategia è nato in luglio da un pranzo tra Renzi, Jamie Dimon (il big boss del colosso americano) e Vittorio Grilli ex ministro e direttore generale del Tesoro, oggi rappresent­ante della società Usa per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. A Padoan l’onere di telefonare a Fabrizio Viola per licenziarl­o (articolo a pag. 20).

Sulle banche il capo del governo aveva pro- Quasi una sorta di conversion­e sulla via di Damasco: a sentire Matteo Renzi che promuove la ricetta Usa contro la crisi e boccia, schernendo­la, la terapia Ue (made in Germany ), qualcuno potrebbe scommetter­e di avere preso un abbaglio. E, invece, no. Con la faccia tosta che lo contraddis­tingue, il premier ha fatto fare una giravolta di 180 gradi alla politica del governi italiani degli ultimi cinque anni e del Pd. In poche parole ha detto che Mario Monti è stato un errore, Enrico Letta un poveretto, lui stesso un mezzo incapace e Giorgio Napolitano un presidente che ha sbagliato tutto. Eh sì, perché se le parole hanno un senso, un’affermazio­ne del genere significa che aveva ragione il Cav, costretto a suon di ricatti, di risolini di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, di congiure maturate all’ombra dell’inquilino del Quirinale di allora, ad abbracciar­e una politica economica, quella tedesca, che considerav­a esiziale per l’Italia. E non aveva capito un tubo l’intero establishm­ent del Paese che non solo subì, ma addirittur­a fu complice di un’operazione di cui paghiamo ancora le conseguenz­e. Al di là dell’ipocrisia di cui è intrisa la sinistra di governo, infatti, tutta la battaglia virulenta che si combattè in Italia nel 2011 fino alla caduta del governo Berlusconi, fu uno scontro tra i propugnato­ri di queste due tesi: da una parte la Ue tedesca bloccata sulla linea del rigore; dall’altra, quella del Cav, isolata in Europa, tutta improntata sullo sviluppo e sul rilancio dei consumi secondo lo schema Usa. Basta leggere il libro di Alan

Chi è Keyser Söze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult I soliti sospetti, dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su Panorama racconta la politica dal di dentro. Friedman, Ammazziamo il gattopardo, per scoprire che l’amministra­zione Obama fu l’unica a livello internazio­nale a non partecipar­e al complotto contro il governo del Cav. «Quando sento Renzi dire queste cose» osserva Silvio Berlusconi ho davanti la foto opportunit­y della famiglia “facce di bronzo”: Monti, Letta, Renzi e, un gradino più in alto, il loro nume tutelare, Napolitano». Se fosse coerente, e conseguent­e, quindi, Renzi dovrebbe avere il coraggio di dire che questo Paese negli ultimi cinque anni ha sbagliato tutto. Ma non lo farà perché lui è l’ultimo frutto di questo quinquenni­o infausto. E poi perché la «conversion­e» un tentativo disperato di conquistar­e l’elettorato di centrodest­ra, visto che in tutti sondaggi il no al referendum sale, mentre il sì scende. Eumetra (Mannheimer) scopre che l’elettorato più convinto del No è quello di Forza Italia (97 per cento), seguito da quello grillino (84) e leghista (67). Senza contare che il cambio di opinione sfacciato del premier lo pone in rotta di collisione con il presidente emerito, Napolitano, principale testimonia­l della campagna del sì. Ma l’ex capo dello Stato a quanto pare ha perso molto ascendente. Il Nap, ad esempio, avrebbe voluto che la Consulta bocciasse l’Italicum per togliere un argomento spinoso dalla campagna referendar­ia e ricompatta­re il Pd sul Sì, ma , malgrado gli sforzi di diversi giudici che gli debbono la nomina in Consulta, il “blitz” non gli è riuscito. Ora la sortita di Renzi contro l’Ue mette nei fatti sul banco degli imputati tutta la politica dei suoi nove anni al Colle, impregnata di retorica europeista. «La verità» dice Nicola Latorre, gran conoscitor­e degli equilibri di potere del Pd «è che Napolitano è isolato, conta sempre meno. E quando si è isolati la cosa migliore è stare fermi».

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