Mazara mette la pesca in vetrina
Dal 6 al 9 ottobre l’Expo del cibo mediterraneo e africano con 300 stand e 50 Paesi.
Cinquanta delegazioni di altrettanti Paesi parteciperanno all’edizione di quest’anno dell’Expo Blue Sea Land, la manifestazione internazionale dei distretti agroalimentari del Mediterraneo, dell’Africa e del Medioriente, promossa dal «Distretto della pesca e crescita blu» in collaborazione con la Regione Siciliana. Dal 6 al 9 ottobre la loro presenza farà del centro di Mazara del Vallo il luogo più interessante per tutto ciò che riguarda il cibo di questa parte del mondo. Tutt’altro che trascurabile l’impatto economico, se si pensa che durante la manifestazione dello scorso anno si sono tenuti ben mille incontri fra imprese con 60 mila visitatori.
All’interno della cittadina siciliana si terranno convegni, mostre, degustazioni, e saranno allestiti 300 stand con i prodotti dei territori dei Paesi partecipanti, in particolare Marocco e Guinea Equatoriale, che sono i partner principali dell’edizione 2016. L’ultimo giorno è anche prevista una preghiera comune con i rappresentanti di diverse religioni. Al centro della scena non ci sarà solo la cucina legata alla pesca (crostacei, molluschi, cous cous, piatti di pasta a base di pesce di vario genere), ma tutta la filiera agroalimentare, in particolare siciliana: dai pomodori di Pachino alle arance bionde di Ribera, alle pesche di Bivona.
La parola d’ordine di quest’anno, oltre alla valorizzazione delle specialità mediterranee, è la prevenzione dello spreco alimentare, tema su cui ha battuto con particolare vigore il presidente del Distretto della pesca, Giovanni Tumbiolo. «I distretti agroalimentari e la blue economy» ha detto durante la presentazione dell’evento «sono strumenti potenti ed efficaci per combattere lo spreco degli alimenti e salvaguardare le risorse naturali a partire dall’acqua». (S.C.) Un taxi nuovo di zecca, un impianto stereo molto sofisticato e un cd con le più belle canzoni ebraiche tradotte in arabo. La pace fra israeliani e palestinesi si può fare anche così. O almeno ci si prova. L’idea è venuta a Moshe Choresh, taxista di Tel Aviv, nato nel 1957 in Israele da genitori emigrati dall’Iraq. Le canzoni da lui tradotte sono cantate da sua moglie, Sandra. «Non guardo gli arabi attraverso una canna di fucile» dice Moshe. «Ho lavorato con loro al mercato all’ingrosso Levinsky di Tel Aviv, dove vendevo spezie e frutta secca con mio padre, ho familiarità con la cultura araba. So che sono persone come noi». La prima canzone che ha tradotto in arabo era di Zohar Argov, Un mare di lacrime, che insieme alla moglie hanno registrato nel loro salotto a Ramat Gan. Hanno inciso le altre canzoni in uno studio professionale, con ricchi adattamenti musicali in sottofondo. Sandra e Moshe Choresh quest’anno celebreranno il loro 20° anniversario di matrimonio. «Sono sposata con un genio intrappolato in un taxi» così Sandra riassume il lavoro e la vita di Moshe.
( Chiara Clausi)