73 ANNI E NON SENTIRLI Il Museo Ikea racconta la storia del famoso marchio che vanta a oggi 389 negozi in 48 Paesi e un fatturato di 34,2 miliardi di euro.
Anche alla superstar americana Kanye West piacerebbe disegnare per Ikea. Lo annunciava, parlando di sé in terza persona, alla Bbc un paio di mesi fa: «Ehi Ikea, permetti a Kanye di creare». Affermazione preceduta da una visita al quartier generale del colosso dell’arredamento in Svezia, di cui aveva riferito con un tweet. Ora, perché uno come lui, che ama ostentare una vita privilegiata, voglia creare arredi a prezzo popolare non è difficile da intuire: l’ubiquità del brand ne ha fatto un’icona del nostro tempo. Si dice che un europeo su dieci sia stato concepito in un letto Ikea.
Poteva allora Ikea non avere un museo? Ha inaugurato a inizio estate, nell’edificio che ospitò il primo punto vendita nel 1958, a Älmhult, regione dello Småland, aspra terra boschiva che ha temprato il carattere dei suoi abitanti. La cittadina (9 mila abitanti) rimane il cuore della multinazionale, ha detto il fondatore, Ingvar Kamprad, novantenne. È qui che sorge il centro dove si progettano i prototipi, una piccola società cosmopolita dove l’età media non supera a i 40 anni. Kamprad creò Ikea a 17 anni. Sii trattava inizialmente di vendita per corrispondenza di piccoli oggetti come penne, accendini, rasoi e solo in seguito divenne sinonimo di casa.
Illuminante fu una visita al Salone del mobile di Milano negli Anni Cinquanta. Notò quanto fossero distanti gli ambienti eleganti visti in fiera dagli interni dove la gente comune abitava. «Creare una vita migliore per la maggioranza delle persone divenne la sua missione» racconta Belén Frau, amministratore delegato Ikea Italia. «Perciò, nello sviluppare un prodotto, facciamo convivere forma, funzione, qualità, sostenibilità e prezzo accessibile». Frau elenca i cinque punti del design democratico, quintessenza della mitologia Ikea, che i dipendenti della multinazionale scandiscono come una preghiera.
Attraverso il museo, una suite di stanze arredate mostra l’evoluzione del design casalingo e ci s’imbatte nei grandi classici che tutti o quasi riconosciamo: la libreria Billy, il divano Klippan, la sedia Poäng. La sensazione non è dissimile dall’essere in un loro store. Ma è la sezione iniziale, quella che precede cronologicamente la nascita di Ikea, a illuminarci sull’ethos in cui il marchio affonda le radici.
La filosofia del design democratico non è l’idea estemporanea di un imprendito- re, è il genius loci. «Quando le cose belle costeranno come quelle brutte, la bellezza per tutti sarà una realtà». Ecco cosa scriveva Ellen Key, influente intellettuale dello Småland, a cavallo tra ‘800 e ‘900. Intanto Carl Larsson dipingeva graziose camere che accarezzavano la fantasia degli svedesi per i quali il nido domestico, ieri come oggi, è il centro della vita.
Ikea ha saputo impacchettare (letteralmente) il senso degli svedesi per la casa. Tuttora l’azienda si bea di una certa insularità, che parrebbe persino salvaguardare una modestia nell’atteggiamento: racconta Frau che tutti in azienda viaggiano in seconda classe (fondatore incluso) e non ci sono solipsismi.
Ma qualcosa sta cambiando. Un segnale va intravisto nella crescente apertura a collaborazioni con noti designer internazionali, che confluiscono nella più sofisticata linea PS lanciata negli Anni Novanta, per una nuova identità del design scandinavo. Nel 2017 arriveranno nei negozi prodotti realizzati con Tom Dixon e Hay. E chissà non sia giunto il momento buono anche per una celebrity come West, che possa un giorno avere il suo pezzo di design democratico al museo di Älmhult.