Panorama

«Finché morte non vi separi» è una bugia

S’intitola il libro in cui Giuseppe Sgarbi ricorda la moglie Rina scomparsa un anno fa. Un racconto autobiogra­fico, delicato e privo di retorica. Come testimonia l’intenso incipit che pubblichia­mo.

- Lei mi parla ancora

di Giuseppe Sgarbi

Etu, dimmi: perché sei andata via? Così presto, poi. Che fretta c’era?, dimmi. Eravamo in cucina. Ricordo benissimo. La television­e accesa parlava di Parigi. O forse Washington. Non so dire. Comunque, qualcuno doveva bombardare qualcun altro. Come sempre, del resto. Certe cose non cambiano mai. Nell’aria, vapori di cucinato. Katia aveva preparato il brodo con i cappellett­i. La bottiglia del vino al centro della tavola, spalla a spalla con quella del tuo succo di frutta all’albicocca. «Fa schifo» dicevi, aggrottand­o la fronte ogni volta che avvicinavi il bicchiere alle labbra. Invidiavi l’effervesce­nza discreta del mio Pignoletto a te, ormai, proibito. Passi piccoli, fruscii di gonne e il battibecca­re consueto di piatti e posate ritmavano, come sempre, il nostro mezzogiorn­o. Fuori, un principio d’inverno. Dentro, un tepore d’altri tempi. Avvolgente, rassicuran­te, mai indiscreto. Sebbene in questa casa tutto continui a muoversi, sembra sempre tutto fermo, come l’acqua del fiume che scorre poco lontano di qui. Inarrestab­ile eppure apparentem­ente immobile.

A un tratto una folaga ha disegnato una diagonale sul vetro rugoso della finestra. Volava lentamente, in direzione del canale. Forse abita lì, ho pensato. Da ragazzo non me la sarei certo fatta scappare. L’ho seguita con lo sguardo, come avessi ancora tra le mani il fucile di mio padre e i diciott’anni della prima licenza di caccia. Ma l’ho lasciata andare, oltre il salice, la torre e la vite ormai priva di foglie. E così mi sono distratto. È stato un attimo: quando mi sono voltato, tu non c’eri più. Ma, dico: si fa così? La poltrona, quella nuova che ti ha regalato Elisabetta, era vuota. E io molto più di lei. Ricordo la faccia che hai fatto quando l’hanno portata. «È per me tutta quella roba lì?» sembravi chiedere, inarcando le sopraccigl­ia. Poi hai scosso la testa, come dire «questi qui son tutti matti». Però sapevo che eri contenta. Hai sempre amato le attenzioni della tua piccolina. La tua voce cambiava quando parlavi al telefono con lei. Capivo chi era all’altro capo del filo dal tono che usavi. Quella dolcezza era riservata a lei. A Vittorio hai sempre parlato come parla un padre. A lei come una madre. A me come una donna. Possedevi il dono delle lingue. A ciascuno la sua. Nessuna mi aveva mai parlato così. Né nessun’altra l’ha mai fatto. Credo sia questa la cosa che mi ha fatto innamorare.

La tua bellezza era l’esca, certo, ma è stata la tua testa a pescare nel mio cuore. Mai conosciuto una testa così. Lucida, vivida, fulminante. E io non sono mai stato tanto felice di aver abboccato a un amo. Un amore che vive anche adesso che tu non vivi più. Per questo il dolore è così grande. «Finché morte non vi separi» è una bugia. Il minimo sindacale. Un amore come il nostro arriva molto più in là. E il tuo lo sento anche da qui.

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ancora (Skira, Lei mi parla destra). a del libro Sgarbi (a copertin e La Giusepp di 14 euro) 128 pag.,
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