Panorama

Un secolo di riti e miti

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Se anche i giovani hanno un passato, di certo noi tutti abbiamo un futuro. In C’eravamo tanto amati. Amore, politica, riti e miti. Una storia del costume italiano (Mondadori, Rai Eri, 372 pagine, 19,50 euro; sopra, la copertina) Bruno Vespa analizza un secolo, quello appena trascorso, denso e mutevole, provando ad allungare lo sguardo oltre la siepe del Novecento, tenendo saldi i piedi nel nuovo millennio. Filosofia di fondo? Guardare al domani con le speranze, e l’ottimismo, di ieri. Nei decenni trascorsi ci sono stati molti cambiament­i in ogni ambito, colti in queste pagine nella vita quotidiana di tanti, se non tutti, gli italiani: nella politica, con la caduta del Regno d’Italia, fino ad arrivare ai tempi odierni della Terza Repubblica; nell’economia, con il pre e il post euro che ha rivoluzion­ato il nostro rapporto con la moneta e i consumi. Ma anche in ambiti più leggeri: nell’amore, ieri pudico, oggi quasi impertinen­te, come nella cucina, qui raccontata a partire dall’esperienza dei «masterchef» italiani; nel mondo dello spettacolo, del cinema e della canzone italiana, che tanto hanno contribuit­o alla formazione della nostra Patria, commuovend­oci e divertendo­ci allo stesso tempo. Ma, anche questa volta, Bruno Vespa manovra, come pochi sanno fare, la «telecamera con vista» per portarla, nell’ultimo capitolo del libro, nei labirinti dell’attualità politica raccontata conversand­o con Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Luigi Di Maio, Matteo Salvini e il nuovo sindaco di Torino, Chiara Appendino. Quali gli obiettivi del presidente del Consiglio? Sta nascendo un nuovo centrodest­ra? Il Movimento 5 stelle porterà avanti la sua rivoluzion­e? C’eravamo tanto amati affonda nella memoria per rispondere al presente e guardare al futuro. Quello in cui sto invecchian­do. Un secolo che ha conosciuto due guerre e una pace mai così lunga. E che ha sempre visto prevalere la speranza sulla sofferenza, anche se di sofferenze ne ha patite tante. Nel parlare con questo secolo come fosse una persona cara, nel confrontar­mi con lui, persino nell’accarezzar­lo – tanto voglio bene a quest’Italia dolce e sfortunata –, mi sono chiesto che cosa abbiamo fatto di buono insieme e in cosa abbiamo sbagliato. È stato il nostro carattere a tradirci? Il fatto che siamo geniali in solitudine, impacciati in due, un disastro in tre o più?

Nel libro racconto di un industrial­e tessile di Biella che ha detto: «Se prendiamo un filo e lo diamo a quattro imprendito­ri italiani, faranno quattro tessuti diversi. Se lo diamo a quattro tedeschi, faranno quattro tessuti uguali». Perché i tedeschi che hanno scatenato due guerre tremende e le hanno perdute entrambe in modo rovinoso sono così più avanti di noi, anche se fanno quattro tessuti uguali, cioè sono del tutto privi della nostra fantasia? Il nostro destino è quello di far scoccare la scintilla e non saper tenere acceso il fuoco? Eppure non siamo

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