«QUESTO QUARTIERE È DI SINISTRA, EPPURE ABBIAMO PAURA: DICONO CHE LA CASERMA OSPITERÀ SOLO 300 IMMIGRATI, MA PUÒ CONTENERNE 5 MILA»
precipitati alla Montello. «Ce l’ha chiesto la gente. Tutti razzisti?» chiede De Corato.
Salvini è venuto il 27 ottobre, a capo di una manifestazione. Anche i tunisini come Maresma che si ritrovano al Punto Snai di via Caracciolo lo chiamano ormai con il vezzeggiativo: «Zio Salvi». Eppure la Zona 8 non è affatto un quartiere leghista: è un municipio amministrato dal centrosinistra ed è popolare da sempre, spiega Luca Paladini che sta sull’altra sponda del fiume «quella di chi i migranti li vuole portare in giro per queste vie. È vero invece che siamo schiacciati dai Municipi 7 e 9 che sono amministrati dalla destra e che qui vorrebbe introdursi e spargere la caccia».
Ma è possibile considerare un ricettacolo di destra la vicina chiesa di San Giuseppe della pace, governata da Padre Vittorio De Paoli e che la domenica è affollata e calda? Anche questo prete, che chiamano «DonVi», si è indurito con l’accoglientismo e con i giornalisti. Forse prova a proteggere i fedeli, quelli che per non sbagliare si affidano sempre a Dio, proprio come don Paolo Paccagnella che a Goro li ha assolti a mezzo stampa. «Accoglienza ne facciamo già abbastanza: 70 tossicodipendenti li abbiamo già ricevuti in chiesa. Mi sembra bastino» dice Don Vittorio prima di chiudersi in una sacrestia che è a suo modo una caserma.
Milano finora non ha sbagliato nulla. Ha funzionato la macchina guidata dal prefetto Alessandro Marangoni e dal suo capo di gabinetto Anna Pavone, che fino a oggi ha gestito la redistribuzione dei migranti. «E anche il Comune ha fatto la sua parte. Ma adesso tutto sta al senso di responsabilità del ministero dell’Interno» avverte Majorino. L’assessore sa bene come il malessere possa essere l’altro sisma italiano: tutti credono di prevederlo, ma nessuno riesce ad arginarlo. A Milano la Polizia ammette che da settimane sono in continuo aumento i residenti che si ispirano a Goro: «La vera sfida» dice un funzionario «non è scongiurare la protesta, ma sminarla con una politica di collocamenti nazionali. Pensare ai centri d’accoglienza non più come ex caserme da adattare, ma come ospedali da costruire».
Anche Sarah Guglielmotto, che da madre si è scoperta leader e organizzatrice di comitati contro i profughi alla Montello, dice che i pescatori di Goro sono eroi ma «io i migranti, credetemi, me li porterei pure a casa se solo conoscessi le loro intenzioni, se solo non sentissi i vetri ogni notte infrangersi». E invece Sarah esce da casa con lo spray al peperoncino in borsa e trema, arrossisce solo all’idea della barricata definitiva. Era una timida e i migranti ne hanno fatto una pasionaria. Sarah non è atterrita da questi 300 migranti, ma dall’algebra. E dall’idea del «mare sopra la Ghisolfa» che spiega Bruno Pischedda, docente di letteratura italiana all’università Statale di Milano e studioso della geografia letteraria della città: «Questa periferia è stata per gli scrittori milanesi la frontiera degli inurbati, degli uomini a metà che la storia non risparmia e fa delirare. Ieri la lotta di classe, oggi l’immigrazione». Pischedda si chiede con chi starebbero oggi scrittori come Testori e Pierpaolo Pasolini, che nelle borgate venivano a cercare l’identità che si stava estinguendo. «In una parola: erano i populisti di ieri. Spesso penso che anche loro si schiererebbero contro gli immigrati».
Sicuramente il palazzone è già un vallo per Sarah, che si è sempre fatta rapire dall’imponenza e dalla solidità del vecchio bastione: quelle qualità prima la rassicuravano, oggi la frastornano e la schiacciano. Sarah si chiede: in quanti arriveranno? Chi saranno? Quando partiranno? Alla fine suggerisce: «Proprio di fronte al portone della caserma è rimasta l’unica cabina telefonica di tutta la Ghisolfa. A volte mi sento più straniera io dei migranti. Sperduta e superata. Proprio come quella cabina».