Repressione senza fine: l’inverno turco è appena iniziato

Epurazioni, licenziamenti, arresti... La repressione di Recep Tayyip Erdogan non si ferma più. I numeri sono spaventosi: dal 15 luglio, giorno del tentato golpe, più di 100 mila persone cacciate dal posto di lavoro, 74.561 incarcerate, oltre 2 mila scuole e università chiuse, 6.337 accademici hanno perso la cattedra. E poi 3.640 magistrati destituiti, 186 giornali, radio e tv chiusi, 133 giornalisti arrestati e circa 2500 rimasti disoccupati. A fine ottobre, altro gi- ro di vite: il 31 l’arresto del direttore del quotidiano Cumhuriyet, Murat Sabuncu, e di 13 colleghi. «Gliela faremo pagare cara» aveva tuonato Erdogan ( sopra, una protesta). Fra il 3 e il 4 novembre il fermo del leader del partito filo-curdo Hdp, Selahattin Demirtas, con nove deputati e la copresidente Figen Yukseldag. L’accusa: terrorismo. Nelle stesse ore a Diyarbakir, città a maggioranza curda, è esplosa un’autobomba: 11 i morti. L’inverno turco è iniziato.

estera: in poco tempo ha sparigliato gli schieramenti geostrategici del Pacifico, smarcandosi dall’alleanza con gli Usa per essere più accomodante verso la Cina. Ma Duterte va sempre controcorrente: dopo aver rivelato che Dio in persona gli avrebbe ordinato di non essere più scurrile, ha apostrofato Usa, Ue, Onu e il Papa con vari epiteti perché avevano criticato le esecuzioni extragiudiziarie. Intanto, la Corte suprema di Manila ha ammesso l’ex dittatore Marcos nel cimitero degli eroi.

marzo a 40 anni di carcere per genocidio e crimini di guerra (a partire dagli 8 mila musulmani massacrati a Srebrenica), ora è detenuto in un carcere olandese. Il «premio» è stato consegnato a sua figlia Sonja, vicepresidente del Parlamento di Banja Luka. Uguale riconoscimento a Biljana Plavsic (pasionaria dei serbi di Bosnia durante la guerra e condannata a 11 anni all’Aja) e a Momcilo Krajisnik. Anche quest’ultimo era finito in carcere, ma è tornato in patria come un eroe.