DI VEDERE TUTELATI PRIMA I LORO DIRITTI ACQUISITI
dellerà abitudini e gusti a loro immagine e somiglianza, dai demagoghi nutriti di facili promesse e belle parole insediati al governo o sugli scranni parlamentari.
L’esibito disprezzo per Trump di Clinton e dei suoi sponsor, seguaci e fiancheggiatori, è stato letto da molti semplici cittadini come irrisione del loro modo di pensare e di vedere le cose. Che tutto è fuorché meramente passionale. È stato anzi l’accumularsi di difficoltà quotidiane a insinuare in questa, che molti sedicenti democratici considerano ormai una plebe, un coraggio che prima non aveva: quello di dare una spallata allo status quo, di preferire l’incertezza della rottura alla fiducia in rappresentanti che l’hanno sistematicamente tradita. Sapendosi stigmatizzata dai committenti dei sondaggi, questa ordinary people si è ben guardata dal rivelare le proprie intenzioni, ma si è poi vendicata nelle urne.
Da questo punto di vista, il voto per Trump è stato un rigetto deciso delle etichette che politici e media incollano addosso a chi ragiona nei termini del «prima io» nel lavoro, nel godimento delle prerogative riservate ai cittadini, nella fissazione delle regole del vivere comune. Stanchi di essere catalogati come egoisti, razzisti e reazionari, molti elettori hanno chiesto di veder tutelati i diritti acquisiti in proprio, per nazionalità, prima di vederli riconosciuti ad altri. L’immigrazione, come accade da tempo in vari Paesi europei, è stata un terreno cruciale di manifestazione di tale sentimento. Ed è infondato dire che, negli Usa come altrove, in quest’ambito la demagogia ha vinto sulla riflessione: se da un lato si è puntato su una sorta di ricatto della paura delle conseguenze di flussi migratori incontrollati, dall’altro si è manifestato senza sosta un simmetrico ricatto della commozione e della compassione, in un caso come nell’altro puntando ad annegare nell’emotività ogni considerazione razionale.
Se descrivere gli immigrati come una feccia di delinquenti è servito probabilmente a far guadagnare a Trump un certo numero di voti, di sicuro molti gliene ha sottratti la contrapposta retorica mediatica, che con l’innalzamento dei «casi Aylan» degli annegati e degli stremati delle traversate a paradigma unico del fenomeno migratorio ha cercato di spazzar via ogni interrogativo sull’irresponsabilità di chi non oppone alcun freno a ondate di trasferimenti che, secondo le previsioni Onu, rischiano di coinvolgere nel prossimo decennio 50 milioni di africani decisi a sbarcare in Europa e vari altri di latinos diretti negli Stati Uniti. Il timore di finire travolti da questa deriva ha smosso, fin dagli anni Ottanta, quote consistenti di tradizionali elettori della sinistra anche estrema, spingendoli a preferire movimenti e leader che, pur sapendo di apparire brutti, sporchi e cattivi agli occhi delle élite intellettuali, politiche, economiche e religiose, promettono di contrastare il fenomeno e ne negano l’irreversibilità.
La sempre più netta tendenza del ceto operaio a votare per i populisti ne è un indicatore evidente, anche se, alla faccia dell’oggettività scientifica, per decenni qualche politologo-militante s’è affannato a negarlo arrampicandosi sugli specchi, soprattutto nel caso francese. Vedere nel successo di Trump, come in quelli di Marine Le Pen, della Fpö austriaca, del Partito del popolo danese o degli affini movimenti fioriti ormai in quasi tutta Europa, nient’altro che l’affermarsi di un’ennesima nuova destra è miope e meramente consolatorio.
La discriminante sinistra/destra, tuttora fondamentale per quella larga maggioranza di politici, intellettuali e animatori dei media che fondano la propria autorevolezza sull’ossequio ai principi della political correctness che segnano l’odierno «spirito del tempo», per gli elettori populisti non ha ormai più nessun significato. Quel che vogliono è: risposte concrete ad istanze che lo sono altrettanto. Ragionano con la pancia? Può darsi, perché sono sempre meno disposti a sopportare sacrifici a cui non vedono corrispondere adeguati benefici, o a vedersi passare avanti chi non ha il loro stesso attaccamento alle regole, alle tradizioni e allo stile di vita a cui sono stati abituati sin dall’infanzia. Ma non è con la pancia che hanno ragionato tutti quegli operai e contadini che, già da fine Ottocento, hanno dato corpo al socialismo, per assicurarsi un più dignitoso orizzonte di vita? Nessuno degli attuali spregiatori del populismo glielo ha rimproverato. E a ragione. Manifestanti a Baltimora il 10 novembre scorso contro il presidente Donald Trump.