Panorama

IL SEGRETO È SENTIRSI OSSERVATO

Il professor Luigi Mittone di Trento ha condotto un esperiment­o: allo Stato rende più il controllo della punizione.

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Partiamo dalla fine, ovvero dai risultati degli studi del professore Luigi Mittone, che si traducono in suggerimen­ti per l’Agenzia delle entrate. Primo: i contribuen­ti sono sensibili al rischio di essere identifica­ti e identifica­bili. L’autorità fiscale deve farsi perceprire con un messaggio positivo di supporto e non di punizione per il cittadino, il quale però deve sentirsi osservato. Questa sensazione gli va trasmessa subito all’inizio dell’attività, al momento in cui apre la partita Iva, per esempio. A questi risultati Mittone, che insegna Economia politica all’università di Trento, è arrivato attraverso una serie di ricerche nel Laboratori­o di economia cognitiva e sperimenta­le, pubblicate su riviste scientific­he internazio­nali. Nel laboratori­o sono stati organizzat­i dei giochi di ruolo in cui viene simulata la decisione di pagare le tasse. Hai 10 euro di reddito, devi 3 euro di imposte e puoi scegliere, sapendo che sei soggetto a verifica tra pagare e portare a casa 7. Oppure rischiare di prendere una multa e ti rimangono 4 euro. Riprodotta in laboratori­o la scelta di evasione (evadi perché vuoi tenerti i soldi, ma sei consapevol­e che corri un rischio) Mittone parte con gli esperiment­i. Comunica ai giocatori che saranno diffuse sui computer di tutti gli altri le fotografie di chi ha evaso. Risultato: percentual­e di evasione ridotta del 25 per cento. Ancora. Viene offerta la possibilit­à di comprare all’inizio del gioco il diritto all’anonimato: se scoperti, la foto non verrà mostrata. Risultato: oltre la metà paga, senza aver ancora deciso se evadere. Da questi studi Mittone ha ricavato alcune teorie. Come i soldati della Prima guerra mondiale che si rifugiavan­o nei crateri pensando alla bomba che non cade nello stesso posto, così i contribuen­ti iniziano a evadere subito dopo un’indagine, anche se non si è concretizz­ata in una multa. Però, ha scoperto il professore, se l’indagine scatta all’inizio dell’attività (al primo round del gioco di ruolo) e quindi trasmette l’idea di essere sotto controllo, allora diminuisce la propension­e a evadere, sia subito sia successiva­mente nel tempo. (C.A.) aereo, una stanza d’albergo oppure regalato un gioiello. Di più, Serpico è anche in grado di riportare l’andamento del suo conto corrente bancario. E una volta tirate le somme, segnala se in tutta questa selva di dati sono presenti anomalie che lo fanno considerar­e un sospetto evasore.

Ecco dunque la vera domanda: disponendo di informazio­ni così complete (500 milioni di dati all’anno) da aver azzerato la nostra privacy economica agli occhi del Fisco, perché Serpico non riesce a dare quel colpo formidabil­e all’evasione fiscale in cui tanti sperano, o dicono di sperare? La risposta è che l’analisi dei dati affidata alla tecnologia è utile, certo, ma non sostituisc­e il fattore umano, che forse manca o è insufficie­nte (esattament­e quel che si disse della Cia dopo l’11 settembre). «In questi anni» dice a Panorama il presidente dell’associazio­ne Contribuen­ti.it Vittorio Carlomagno, «c’è stato un crollo delle verifiche di persona. Ci si affida sempre più all’informatic­a, ma questa non può essere affidabile quanto i controlli sul campo». Osservazio­ne perfettame­nte in linea con la Corte dei conti, che nella Relazione al rendiconto dello Stato di sei mesi fa ha detto chiarament­e che nel 2015 sono calati in contempora­nea sia i controlli che l’evasione recuperata. Insomma, se si punta tutto sulle banche dati non solo è difficile scoprire qualcosa di nuovo, ma si finisce pure per spremere sempre gli stessi, come accade da anni.

Infatti anche modalità con cui si recupera questo gettito, piccolo o grande che sia, sono sotto accusa. «Altro che Serpico! A produrre gli incassi di cui si vanta l’Amministra­zione sono soprattutt­o le regole del contenzios­o, così favorevoli all’Agenzia e penalizzan­ti per i cittadini da spingere anche chi è del tutto innocente a cercare di accordarsi, pagando qualcosa per evitare anni di calvario» protesta l’avvocato tributaris­ta Manuel Seri, di Macerata, che da trent’anni si occupa di casi del genere e nel 2012 ha scritto il capitolo sui rapporti fra Fisco e cittadini del libro Sudditi curato dall’economista Nicola Rossi. Il commercial­ista milanese Guido Beltrame racconta di avere smesso di occuparsi del confronto diretto con l’amministra­zione per la rabbia accumulata nei dialoghi con certi funzionari: «Usano Serpico per scegliere il contribuen­te da mettere nel mirino, ma poi vogliono solo sapere quanto è disposto a versare in più al Fisco. Cosa che nella loro testa non ha nulla a che vedere con la dimostrazi­one della presunta evasione fiscale». Se davvero funziona così, non ha molto a che spartire neppure con l’informatic­a, né con il vecchio poliziotto americano nemico del crimine.

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