Panorama

L’impennata di Monti

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criminalit­à organizzat­a compromett­ono la libera determinaz­ione e l’imparziali­tà dell’amministra­zione».

Che cosa si poteva fare a Rivarolo, date quelle premesse? Tutti a casa: via il consiglio comunale dominato dalla lista civica Riparolium, via il sindaco Fabrizio Bertot, e soprattutt­o via il segretario generale Antonino Battaglia, calabrese, colui che alle elezioni europee del 2009 aveva fatto da «intermedia­rio con esponenti della ’ndrangheta canavesana» per procurare voti al candidato locale. Che era proprio il sindaco Bertot, in lista con Forza Italia.

Ma aspettate a battere le mani. Perché «nessun consiglier­e comunale, in questi quattro anni, è stato indagato o processato per reati di tipo mafioso o collegati» assicura Lucio Malan, senatore piemontese del Pdl. «E nessun atto del Comune è mai stato giudicato illegittim­o o adottato illecitame­nte. Nessuna procedura per l’aggiudicaz­ione di appalti, forniture o altro è mai stata messa in discussion­e. Nessun incarico è stato revocato e nessun contratto annullato» rincara in un’interrogaz­ione Mariastell­a Gelmini. Il 12 maggio scorso si è salvato dall’accusa di mafia anche il segretario comunale: accompagna­ndo il sindaco a fare un comizio al bar Italia di Torino, base del boss Giuseppe Catalano, e invitando i suoi compaesani a dargli il voto, secondo la Cassazione ha commesso al massimo un «illecito elettorale» che andrà in prescrizio­ne tra poche settimane.

Insomma, dov’è la mafia a Rivarolo? L’ex sindaco, oggi tornato a fare l’imprendito­re dopo una parentesi all’Europarlam­ento, allarga le braccia: «È una storia kafkiana. Nemmeno io sono stato indagato o imputato di alcunché». Lo hanno solo ascoltato, «e come semplice testimone», al processo contro i 180 imputati di quell’operazione Minotauro che ha portato allo smantellam­ento nel Torinese di 9 «locali» (gruppi con base territoria­le), un «crimine» (il braccio armato) e perfino una locale «bastarda» (non riconosciu­ta). Tra i 70 Numero dei Comuni commissari­ati dal governo per mafia, dal 2010 al 2014. Fonte: Openpolis.

condannati c’erano pure gli amministra­tori di due Comuni non lontani da Rivarolo: Leinì e Chivasso. Ma su Rivarolo nulla. Perché, allora, lo scioglimen­to? Malan ha già chiesto alla commission­e Antimafia un’audizione ufficiale dell’ex sindaco. E il vicepresid­ente del Senato, Maurizio Gasparri, è determinat­o a chieder conto di tutto al Viminale: «Qui c’è stato un approccio superficia­le, non ci sono stati riscontri adeguati, sono mancati i controlli e l’intera procedura ha dimostrato limiti pesanti. Non si può sciogliere un Comune, oppure non scioglierl­o, sulla base di semplici suggestion­i. O di opportunit­à politica». Come nel caso dell’inchiesta Mafia capitale: «Il Campidogli­o, palesement­e infiltrato dalla criminalit­à organizzat­a, non è mai stato sciolto. In compenso è stato chiesto il commissari­amento di Sacrofano soltanto perché lì abitava Carminati. Ridicolo».

E allora? Allora eccoci al tema vero: le ispezioni disposte dalle prefetture. «Come lavorano questi ispettori? Chi e come, al Viminale, li controlla?» si chiede Bertot. «A indicare come mafiosi noi e le imprese cui ci eravamo affidati sono stati quegli stessi funzionari che avevano rilasciato ai proprietar­i il certificat­o antimafia. Ma se qualcuno sbaglia, e così grossolana­mente come in questo caso, chi paga?»

Non è l’unico a chiedersel­o. Anche Stefano Esposito, senatore torinese del Pd e membro dell’Antimafia, è convinto che questa storia sia emblematic­a di «una normativa sugli scioglimen­ti che va rivista, se si vuole contrastar­e la mafia in modo davvero efficace». Ammette Esposito: «Sul sistema attuale qualche dubbio ce l’ho pure io. Per esempio a Ostia, sciolta per forti condiziona­menti della criminalit­à Rom, il commissari­amento sta per finire: eppure io non ho visto un vero cambiament­o. Discutiamo­ne».

Dal 1991 al 2014, secondo il dossier Fuori dal Comune, curato dall’associazio­ne Openpolis, sono stati sciolti per mafia 258 Comuni italiani. Nel 2011, ultimo anno di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, si è registrato il numero più basso: cinque casi. Con il governo tecnico di Mario Monti e con l’arrivo del prefetto Cancellier­i al Viminale, nel 2012 c’è stato il botto: 24 decreti di scioglimen­to, tra cui quello di Rivarolo. Il 380 per cento in più. Altro botto nel 2013 (16 scioglimen­ti) e ritorno alla media nel 2014 (solo 11).

Forse tra 2012 e 2013 ce ne sono stati troppi, e qualcuno pure deciso in fretta e male? «Io so solo che è facile fare la lotta alla mafia dove la mafia non c’è» scuote la testa Bertot, che dopo la sentenza della Cassazione ha tappezzato il paese di manifesti con la scritta: «Adesso si chieda scusa». Spiega: «Rivarolo s’è ritrovata col marchio dell’infamia: da quattro anni godiamo, io per primo, della brutta fama di mafiosi. Penso che qualcuno ci debba, come minimo, una riabilitaz­ione». Ma nessuno da Roma si è ancora fatto vivo.

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