Lavoro e fichi secchi
Quanto il governo Renzi ipotizzava di spendere per riallocare quelli senza occupazione nel 2017.
Disoccupati nell’ottobre 2016 Risorse 2017 per la riallocazione Investimento per ogni disoccupato
Di certo non ha contribuito a invertire la rotta la «rivoluzione copernicana del lavoro» promessa da Renzi con il Jobs act: una legge costruita a immagine e somiglianza di un piccolo mondo antico in via di estinzione, quello delle logiche di subordinazione e comando padronale proprie del Novecento industriale. Il Jobs act non ha saputo interpretare il lavoro che cambia. Molti (ma non Panorama) hanno dovuto attendere i fatti per rendersi conto della debolezza di una riforma incentrata unicamente sul superamento, in sé positivo, dell’art. 18. Terminate le ingenti risorse messe in campo con la decontribuzione si scopre invece, con ingenua sorpresa, che c’è un buco nel bilancio dell’Inps e che l’occupazione ha smesso di correre. Con posti di lavoro drogati dagli incentivi, prevalentemente stabilizzazioni di precedenti contratti precari, e che nulla di stabile hanno se è vero che bastano poche mensilità per liquidare un lavoratore senza rischio di contenzioso. Circostanza comprensibile, nella nuova economia, se non fosse che a due anni dall’attuazione del Jobs act mancano ancora le moderne tutele del lavoro annunciate da Renzi. Anche «Garanzia giovani» è stato un vero flop, mentre per le politiche attive e di ricollocazione di quanti hanno perso un posto sono stati stanziati solo 18 milioni: 6 euro per ogni disoccupato.
Sulle politiche del lavoro, Renzi ha giocato d’azzardo. Con una centralizzazione dei poteri in una nuova Agenzia nazionale che, in due anni di Jobs act, non ha mosso alcun passo e che pochi ne farà ora all’esito del voto referendario. Eppure la storia insegna che le politiche del lavoro si giocano nei mercati locali del lavoro, che sono oltre 600 secondo l’Istat. È da qui che si deve ripartire, se si vuole davvero mettere al centro il lavoro e il rilancio dell’economia: dalle persone e dai territori, e da politiche che diano maggiore libertà e responsabilità a quei corpi intermedi che sono l’architrave di una società complessa che era ingannevole pensare di poter cancellare con la semplice soppressione del Cnel.