Convitato di pietra
Protetto dall’ombra solenne del supremo Colle, Renzi ha via via gonfiato d’ingordigia la propria naturale autostima: incoraggiato dal successo alle europee della primavera 2014, ha dispiegato a destra e a sinistra, senza misura, il suo cinismo ludico rubricato alla voce «disintermediazione» e scimmiottato con incauta insolenza dai renziani della prima e dell’ultim’ora, la «santa teppa» che voleva precipitarci a calci nel sedere nella sua malintesa versione del futuro (#adesso, ricordate?). Renzi ha finito per militarizzare il Parlamento incassando qualche buon risultato (Jobs act) a margine del tramestio rivolto alla Costituzione e alla legge elettorale. Sul più bello, anzi sul più brutto, quando Napolitano ha visto i suoi obiettivi a portata di mano e si è deciso ad abbandonare il palazzo dei papi e dei re per monumentalizzarsi sul trono minore dei senatori a vita, Renzi e i suoi hanno toccato il culmine dell’arroganza imponendo Sergio Mattarella al Quirinale. Una finta prova d’amore per vellicare la credulità di una minoranza piddina votata comunque all’immolazione, uno sgarbo insanabile a Berlusconi e sopra tutto un caldo rifugiarsi, da parte di Renzi, nella certezza che ormai al Quirinale non gli servisse più un gran tessitore ma un morbido e schivo alleato.
Non che Napolitano si sia eclissato. In omaggio alla volontà d’inverare la sua idea dell’Italia, astratta dalle urgenze sociali e impermeabile alla rabbia popolare e giovanile che andava montando, il presidente emerito ha lastricato il sentiero senza uscita calcato dalla boria presenzialista renziana. Ed era già tardi per farlo rinsavire, quando il premier ha trasformato la competizione referendaria in un’ordalia personale: un duello contro i diritti del suffragio universale negletto. Nientemeno.
E così, ottenebrato, il ragazzo è andato a schiantarsi. Napolitano è stato il mandante logico del tentato suicidio politico renziano, la causa efficiente d’una «campagna elettorale aberrante» (parole sue) e della conseguente disfatta che ha imperdonabilmente disarcionato anche i sogni fiabeschi di Maria Elena Boschi, madrina della riforma costituzionale appena finita in coriandoli, offerta al pubblico come una Madonna secchiona e già espunta dal grandangolo scolorito dei fasti renziani. Matteo Renzi con Giorgio Napolitano, 91 anni, presidente della Repubblica dal 15 maggio 2006 al 14 gennaio 2015.