Panorama

Arresti & soccorsi

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A sinistra: migranti privi di visto catturati a Tripoli durante un raid notturno dalle forze del Dipartimen­to anti-immigrazio­ne irregolare. Nella retata è stato arrestato anche uno dei principali trafficant­i sul territorio libico, originario del Burkina Faso. In basso: membri dell’organizzaz­ione umanitaria Medici senza frontiere a bordo dell’imbarcazio­ne «Dignity» soccorrono alcuni migranti al largo della costa libica. randum d’intesa, firmato lo scorso giugno a Roma dalla guardia costiera libica e dai responsabi­li dell’operazione europea Eunavfor Med-Sophia, che punta a smantellar­e il traffico degli esseri umani dal Paese maghrebino all’Europa.

La sola ad avere l’incarico ufficiale da parte del comando nazionale della Guardia costiera, l’unità di Zawiya è anche l’unica ad avere i mezzi per pattugliar­e le coste a ovest di Tripoli. In un Paese dove ogni città è uno Stato a sé stante, il comando centrale non ha potere sul territorio. Il risultato è che, a livello locale, a Zawiya il sistema mafioso è riuscito a mettere radici. «Al Bija lavora con tutti e ha problemi solo con chi ficca il naso negli affari suoi, come le imbarcazio­ni di Medici senza frontiere e di Sea-Eye, che si sono avvicinate troppo. Inevitabil­e che gli uomini di Al Bija le attaccasse­ro...» spiega la fonte di Panorama, riferendos­i agli incidenti tra Guardia costiera e missioni umanitarie internazio­nali di ricerca e soccorso avvenuti lo scorso settembre al largo delle coste del Paese nord-africano.

«Ieri gli scontri a fuoco sono arrivati fino a questa rotatoria» racconta nervosa la gola profonda, aspirando un po’ di nicotina dalla sigaretta. Con gli occhi ancora increduli, ricorda: «Combatteva­no con i carri armati tra la gente». Da qualche mese, il grosso giro d’affari che ruota intorno a questo porto ha scatenato desideri di conquista da parte di altre tribù. Gli Ulad Saqqar sono i più agguerriti: da mesi sfidano Al Bija e Al Qasseb per ottenere anche il controllo di un pezzo di porto.

Ma il sistema Al Bija è oramai consolidat­o. «Tutti consegnano la loro quota ad Al Bija» rivela l’uomo. «Mi riferisco ai mercanti di uomini che pagano già in Sudan e a quelli che trafficano con i sub-sahariani, i quali pagano in contanti qui sulla costa prima della traversata». Per gli eritrei, i somali e i nigeriani che, per sbloccare il pagamento dal Sudan, devono arrivare in Italia se non sani almeno vivi, i trafficant­i versano il loro obolo ad Al Bija prima che il barcone si avvii. «Vogliono intascare quanto prima i loro soldi, senza intoppi» spiega la ben informata fonte di Panorama. Da Sabrata, 40 km a ovest di Zawyia, è partita la gran parte degli oltre 171 mila migranti giunti in Italia attraverso il Mediterran­eo. E a Sabrata si sono imbarcate molti dei 4.600 disperati, tra cui uomini, donne e bambini, morti in mare da inizio anno. «Guarda qui» ci indica Mohamed, volontario della Mezzaluna rossa che di corpi di migranti risputati dal mare ne ha raccolti a decine, mostrando sul suo telefono le immagini di decine di gommoni prendere la via del mare all’unisono. «Quando i trafficant­i non pagano i guardacost­e, i migranti rischiano di finire in mezzo agli scontri. Com’è successo qualche settimana fa, quando gli uomini di Al Ammu hanno aperto il fuoco su un gruppo di Al Bija» racconta Mohamed.

Grazie al traffico dei migranti, Al Ammu, soprannome di Ahmed Dabbashi, negli ultimi quattro anni si è guadagnato una fortuna. Tanto che è riuscito a mettere in piedi la più potente milizia della città. «Anche l’insediamen­to Eni di Mellitah è sotto la sua

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