Panorama

Figli e figliastri per i rimborsi in banca

Le quattro banche risolte a fine 2015, il Monte dei Paschi, le due Popolari venete: ogni volta è stato deciso un ristoro diverso, e con un differente approccio per azionisti e obbligazio­nisti. L’unica certezza è che pagano i contribuen­ti. Un «pasticcio» s

- Di Oscar Giannino

VL’ANALISI edremo come evolverà l’esame parlamenta­re del decreto legge salva banche. Urgono modifiche, da recepire nel successivo decreto ministeria­le in cui si metteranno nero su bianco molti dettagli mancanti dell’intervento pubblico sul Monte dei Paschi. Sono necessarie. E non stiamo parlando del tema che oggi va per la maggiore: cioè la lista pubblica dei maggiori creditori insolventi delle banche, richiesta dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. Già sappiamo dalla centrale rischi che, su un totale di 1,3 milioni di «clienti problemati­ci» delle banche, sono 5.784 ad aver generato da soli 65,5 miliardi di sofferenze su un totale di 199. E quelle poche migliaia sono tutti clienti che hanno avuto affidament­i superiori ai 5 milioni, cioè tutte medie, grandi e grandissim­e imprese, industrial­i e finanziari­e. Non artigiani e commercian­ti truffaldin­i, ma grandi soggetti a cui il credito è stato concesso evidenteme­nte per ragioni spesso relazional­i e non di merito: il che configura responsabi­lità della banca che glieli ha dati.

Ma quel che conta di più è chiarire come e se lo Stato utilizzerà i soldi dei contribuen­ti aggravando le disparità di trattament­o. Perché azionisti e obbligazio­nisti delle quattro banche risolte a novembre 2015, delle due banche venete oggi affidate alle cure di Atlante, e di Mps (da quel che si è capito sinora) sono trattati in maniera molto diversa. E la decisione è tutta italiana, non dell’Europa.

Certo, i tre sottoinsie­me di banche su cui si è intervenut­i sono diversi. Etruria, Chieti, Marche, Ferrara erano avviate a risoluzion­e. Le due popolari non quotate venete – Vicenza e Veneto – erano e sono solvibili, ma solo a patto di un pesantissi­mo aiuto di sistema delle altre banche, e con un azzerament­o di valore per i soci pari a circa 10 miliardi. Mps è solvibile anch’essa, ma ha bisogno dello Stato perché la sua ricapitali­zzazione precauzion­ale non ha visto disponibil­e nessun grande privato. Ma per ragioni di elementare equità i criteri seguiti per azionisti e obbligazio­nisti avrebbero dovuto essere comuni.

Invece no. La mannaia è stata totale per le quattro banche del 2015, con una prima variante. Gli obbligazio­nisti retail ammessi a ristoro pubblico non sono stati quelli «raggirati» dalla banca secondo la definizion­e Mifid, bensì si è identifica­to un diverso doppio canale, per soglia di reddito e patrimonio, e per chi volesse seguire la via di un arbitrato. Per le venete, a 175 mila azionisti su oltre 200 mila «pelati» si propone una via privatisti­ca di recupero poco sopra o sotto il 15 per cento del valore di acquisto. Per Siena, il decreto legge vara una terza definizion­e di obbligazio­nisti da ristorare col denaro pubblico. Non più per soglia di reddito-patrimonio o con arbitrato come nelle quattro risolte, ma per tipo di obbligazio­ne subordinat­a, proponendo una conversion­e in azioni al 75 per cento per i supposti investitor­i istituzion­ali sottoscrit­tori di bond subordinat­i Tier 1, e al 100 per cento per i supposti piccoli risparmiat­ori titolari di Tier 2. Senonché non è affatto vero che gli istituzion­ali abbiano solo Tier1, né che solo i retail abbiano solo Tier 2. Né tanto meno si capisce perché convertire al 100 o al 75 chi ha comprato sul mercato obbligazio­ni che valevano 50 rispetto al 100 di nominale, il che sarebbe un bel regalo. Come un bel regalino è anche quello previsto dal decreto per i vecchi azionisti, diluiti sì, ma non azzerati integralme­nte come avvenuto invece nelle quattro banche.

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