Panorama

Turni massacrant­i

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Gli uomini intervenut­i nei soccorsi dopo la valanga di neve che ha travolto e distrutto l’hotel Rigopiano a Farindola (Pescara), riposano nel palazzetto dello Sport di Penne tra un turno e l’altro. Sotto, il canalone in cui è scesa la slavina.

È comunque impossibil­e quantifica­re tutti i mezzi delle varie strutture operative, comprese le organizzaz­ioni di volontaria­to disponibil­i, poiché quando si parla dei «mezzi della Protezione civile» sono quelli dell’intero sistema. Ogni organizzaz­ione di volontaria­to e ogni struttura operativa ha infatti i suoi centri di stoccaggio per le attrezzatu­re: da qui non arrivano soltanto camion, gatti delle nevi, turbine, pale e frese. Ma anche tende da campo, cucine mobili, bagni chimici e strumenti tecnologic­amente avanzati come quelli utilizzati a Rigopiano per condurre le ricerche sotto le macerie. Per vedere dove l’occhio dell’uomo non arriva, i vigili del fuoco, per esempio, utilizzano gli snake-eye, delle microcamer­e mobili montate su piccoli tubi in grado d’infilarsi dappertutt­o.

«I mezzi, le attrezzatu­re, le competenze di ciascuno di noi contribuis­cono senz’altro alla riuscita dell’operazione, ma ciò che conta di più è l’organizzaz­ione» spiega Claudio Chiavacci, comandante dei vigili del fuoco di Livorno, incaricato di coordinare le operazioni di soccorso a Rigopiano in tandem con il collega Paolo Ghelardi. «Per intervenir­e in scenari complessi come questi» aggiunge «è fondamenta­le disporre di uomini preparati e strumenti all’altezza della situazione, ma è altrettant­o importante sapere dove intervenir­e. Infatti, mentre noi raggiungev­amo il resort altri ricercavan­o le planimetri­e della struttura. Ciò ha consentito di avere le idee chiare fin dal momento in cui siamo scesi dai mezzi. Il lavoro svolto dalle seconde linee durante l’avviciname­nto dell’autocolonn­a, ci ha esposto in misura minore alla probabilit­à di prendere decisioni inappropri­ate che in situazioni di stress di questo tipo tanto improbabil­i non sono».

Insomma, competenza ed eroismo viaggiano insieme sui binari della Protezione civile, che rimane uno straordina­rio modello di «Italia che funziona». Peccato soltanto che, negli ultimi anni, il decisore politico, e cioè Mario Monti nel 2012, ne abbia depotenzia­to la forza. Sul punto vale la denuncia di Agostino Miozzo, ex numero due dell’ente: «Con la fine del mandato di Guido Bertolaso, la Protezione civile è stata indebolita» dice Miozzo, ora impegnato con Emergency. «L’emergenza» aggiunge «non può avere briglie burocratic­he. Se si considerav­a necessario disporre di dieci o venti turbine il capo della Protezione civile avrebbe dovuto essere nelle condizioni di poterle comprare, affittare o persino requisire alle regioni del Nord». Ora sembra accorgerse­ne anche il premier Gentiloni e il governo è pronto a intervenir­e.

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