Medio Oriente
cinese di una rinnovata locomotiva americana. L’Italia ha tuttavia da perdere dal disinteresse di Trump verso l’Europa, dal suo privilegiare i rapporti fra grandi potenze e dal suo probabile disinteresse per Nord Africa e Medio Oriente, Libia in primis.
Se però l’eventuale dialogo con Mosca si traducesse in una pressione congiunta per forzare il generale libico Khalifa Belqasim Haftar (sostenuto da Mosca) e il governo di Tripoli (sostenuto da Italia, Usa e Onu) a trovare un accordo, sarebbe l’Italia a trarre benefici. Il condizionale è però d’obbligo.
È lo scenario più complicato, quello in cui, ancor più che in altri scacchieri, le conseguenze dirette o indirette di ogni decisione Usa possono generare complessi effetti domino. Contrasto deciso al terrorismo e forte sostegno a Israele sono tra i pochi punti fermi emersi finora, attorno ai quali verrà costruita la strategia per il Medio Oriente dell’amministrazione Trump. Tutto il resto è una complessa quadratura del cerchio: abbandonare l’accordo sul nucleare iraniano o privilegiare l’alleanza tacita con Teheran nella lotta all’Isis in Siria e Iraq? Partecipare con la Russia alla definizione di un «grand bargain» su Libia, Egitto e Siria o rinchiudersi dietro la parola d’ordine «isolazionismo»? Al momento non ci troviamo di fronte a una strategia coerente; certo è che, come ha commentato in condizioni di anonimato un diplomatico inglese il giorno della vittoria di Trump: «Il Medio Oriente è nel caos. Ha forse bisogno che qualcuno rimescoli ulteriormente le acque?»