À la russe,
Una volta l’anno, il ministro degli Esteri russo ospita a cena i giornalisti. c’era. Storia di una soirée fra reticenze diplomatiche e gare semiserie.
Panorama l re non è affatto nudo. Indossa un completo maschile dal taglio impeccabile, in cui si muove con gesti lenti. Qualcuno ha scritto su Facebook: «Il miglior ricevimento di oggi a Mosca perché c’è Sergey Lavrov, perché ci sono gli amici». Il trucco è arrivare attraverso la neve con gli stivali imbottiti, e una volta dentro sostituire prontamente i tacchi per salire dieci scalini ed entrare in un altro mondo: la diplomazia russa.
La cornice è neogotica. Un castello bianco latte sulla cosiddetta via delle meraviglie Spiridonovka. Qui Lavrov, il ministro degli Esteri, sfodera quotidianamente il suo russo forbito, accogliendo colleghi e tenendo negoziati. Ma una sera all’anno invita i reporter non per fare anticamera, né tappezzeria: sono gli ospiti d’onore.
A marzo Lavrov, 66 anni, nato a Mosca ma di origini armene, compirà 13 anni al vertice: il ministro più longevo dell’èra Putin. Spostarlo sarebbe come sostituire il portiere durante una partita, quando si sta vincendo 5 a 0. Mi avvicino e cerco di provocarlo sul suo ex collega Paolo Gentiloni, diventato premier: non è che vuole fare lo stesso? «Rosso o bianco?» mi chiede. Il bicchiere di vino credo sia un trucco, come cambiare discorso quando la conversazione si fa complessa. Ma dopo il fumo, viene la sostanza. Lascia intendere di star bene al suo posto, mi raccomanda di far arrivare i suoi migliori auguri a Gentiloni, per tutto.
Nella conferenza stampa, che aveva aperto questa giornata particolare, dalla
Quest’anno ha vinto la Cnn per la domanda sulle Pussy Riot e Donald Trump. La risposta a doppio senso di Lavrov è già entrata negli annali: «L’inglese non è la mia lingua madre. Ma ci sono così tante di quelle pussy intorno alla campagna presidenziale Usa, da una parte e dall’altra, che preferisco non commentare».
Scherzi a parte, la Realpolitik à la russe è un Giano bifronte. «Nessuno credeva alla vittoria di Trump. Tranne noi» dichiarò a dicembre Putin, trionfante. L’altra faccia, prudente e immobile, l’ha mostrata invece Lavrov in questa giornata: «Siamo realisti: non vorrei cadere da un estremo all’altro», pur specificando che l’approccio della nuova amministrazione Usa, quello in cui «ogni Paese è responsabile per il proprio sviluppo», ben si confà a quello russo. Mentre mi rinfilo gli stivali imbottiti, prima di uscire nel freddo, penso all’effetto Lavrov. Ossia il caos e la vergogna dell’era Eltsin trasformato in buon gusto e senso del decoro. Il re non è affatto nudo, e ha vinto. Per ora.