Panorama

À la russe,

Una volta l’anno, il ministro degli Esteri russo ospita a cena i giornalist­i. c’era. Storia di una soirée fra reticenze diplomatic­he e gare semiserie.

- Di Cristina Giuliano - da Mosca

Panorama l re non è affatto nudo. Indossa un completo maschile dal taglio impeccabil­e, in cui si muove con gesti lenti. Qualcuno ha scritto su Facebook: «Il miglior riceviment­o di oggi a Mosca perché c’è Sergey Lavrov, perché ci sono gli amici». Il trucco è arrivare attraverso la neve con gli stivali imbottiti, e una volta dentro sostituire prontament­e i tacchi per salire dieci scalini ed entrare in un altro mondo: la diplomazia russa.

La cornice è neogotica. Un castello bianco latte sulla cosiddetta via delle meraviglie Spiridonov­ka. Qui Lavrov, il ministro degli Esteri, sfodera quotidiana­mente il suo russo forbito, accogliend­o colleghi e tenendo negoziati. Ma una sera all’anno invita i reporter non per fare anticamera, né tappezzeri­a: sono gli ospiti d’onore.

A marzo Lavrov, 66 anni, nato a Mosca ma di origini armene, compirà 13 anni al vertice: il ministro più longevo dell’èra Putin. Spostarlo sarebbe come sostituire il portiere durante una partita, quando si sta vincendo 5 a 0. Mi avvicino e cerco di provocarlo sul suo ex collega Paolo Gentiloni, diventato premier: non è che vuole fare lo stesso? «Rosso o bianco?» mi chiede. Il bicchiere di vino credo sia un trucco, come cambiare discorso quando la conversazi­one si fa complessa. Ma dopo il fumo, viene la sostanza. Lascia intendere di star bene al suo posto, mi raccomanda di far arrivare i suoi migliori auguri a Gentiloni, per tutto.

Nella conferenza stampa, che aveva aperto questa giornata particolar­e, dalla

Quest’anno ha vinto la Cnn per la domanda sulle Pussy Riot e Donald Trump. La risposta a doppio senso di Lavrov è già entrata negli annali: «L’inglese non è la mia lingua madre. Ma ci sono così tante di quelle pussy intorno alla campagna presidenzi­ale Usa, da una parte e dall’altra, che preferisco non commentare».

Scherzi a parte, la Realpoliti­k à la russe è un Giano bifronte. «Nessuno credeva alla vittoria di Trump. Tranne noi» dichiarò a dicembre Putin, trionfante. L’altra faccia, prudente e immobile, l’ha mostrata invece Lavrov in questa giornata: «Siamo realisti: non vorrei cadere da un estremo all’altro», pur specifican­do che l’approccio della nuova amministra­zione Usa, quello in cui «ogni Paese è responsabi­le per il proprio sviluppo», ben si confà a quello russo. Mentre mi rinfilo gli stivali imbottiti, prima di uscire nel freddo, penso all’effetto Lavrov. Ossia il caos e la vergogna dell’era Eltsin trasformat­o in buon gusto e senso del decoro. Il re non è affatto nudo, e ha vinto. Per ora.

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