Ci vuole un albero per fare una mostra
Fendi chiama, l’artista Giuseppe Penone risponde: ne nasce la personale Matrice, allestita al palazzo della Civiltà italiana. Con un regalo a Roma: l’opera Foglie di pietra, da aprile, in largo Goldoni.
Un abete alto più di venti metri si staglia davanti all’architettura razionalista e metafisica del Colosseo quadrato. Come se in tutta quella maestosità da trionfo del Ventennio, marmi bianchi, arcate simmetriche e statue dai glutei scolpiti, irrompesse violenta la natura. È Giuseppe Penone, il grande dell’arte povera, ad aver fatto crescere i suoi alberi davanti al monumento simbolo del quartiere Eur a Roma.
L’occasione è la mostra Matrice, voluta da Fendi, (dal 27 gennaio al 16 luglio, tutti i giorni, ingresso gratuito) nell’iconico palazzo della Civiltà italiana, oggi quartier generale della maison del lusso, per la prima volta trasformato in location per l’arte contemporanea. Ad affiancare l’esposizione ci sarà anche una personale dell’artista, dal titolo Equivalenze, alla galleria Gagosian.
Diciotto opere che ne percorrono l’intera carriera, molte inedite ed esposte per la prima volta in Italia. I suoi celebri tronchi dialogano con la classicità in una scenografia affascinante. «È un luogo straordinario sotto tanti punti di vista e rappresenta un momento storico molto preciso» spiega lo scultore sabaudo. «Lo associo alla metafisica di Giorgio De Chirico, lo spazio è come sospeso, astratto rispetto alla realtà. La storia è passata sopra questi marmi, ma oggi c’è un modo diverso di vedere e di percepire quest’edificio. È stato davvero interessante lavorare qui». Dopo la grande mostra a Versailles nel 2013, Penone si confronta con la Storia, tra virtuosismo e propaganda, senso del tempo ed eroico furore.
La luce inonda le sale del piano terra, la natura si ricrea tra le architetture monumentali, si attraversano fiabeschi boschi di alberi nudi, si osservano le orme dell’artista sulle foglie di mirto. Arte e natura sono così simili, come le due pietre di Essere Fiume, lavoro del 2010. Una è levigata dall’acqua, l’altra è forgiata dalla mano dell’uomo, eppure assolutamente uguali. E poi Matrice, che dà il titolo alla personale, un tronco lungo trenta metri, scavato, scarnificato, come un marmo di Michelangelo. Una forma di bronzo è incastonata come per catturare il flusso vitale, così da arrenderci davanti a quello che da sempre sappiamo: la natura è più forte dell’uomo. Siamo spauriti, sopraffatti davanti alle crudeli Spine d’Acacia, ai rami che appaiono fragili e invece sorreggono il peso di pietre scolpite come capitelli e colonne antiche.
«L’arte è una necessità dell’uomo, una necessità