Per fare carriera bisogna smettere di lavorare
Il merito non porta né al successo né a essere amati. È la tesi estrema e provocatoria di Laszlo Barabàsi, il fisico della complessità ungherese che mette il potere di Internet al centro del mondo.
Bisogna smettere di lavorare e cominciare a guardarsi intorno per fare carriera. Sembra un paradosso, ma a quanto pare è ciò che emerge dalle leggi della fisica. Il merito non porta al successo. Cancellate anni di scuola, hackerate la buona educazione e cambiate metodo: lavorare sodo e bene non è la chiave giusta per raggiungere gli obiettivi. Laszlo Barabàsi, con le sue ricerche che partono dallo studio delle reti, costringe a leggere la società umana senza ipocrisie. Il fisico della complessità ungherese, famoso in tutto il mondo, studiando i sistemi sociali attraverso strutture matematiche ha cambiato la ricerca sul cancro, previsto l’espansione di epidemie e anche costruito il successo della campagna elettorale di Barack Obama e non solo (incontrò Gianroberto Casaleggio qualche tempo prima della nascita del Movimento 5 stelle offrendogli la chiave ispiratrice per ottenere un immediato successo politico). Spiega chiaro e tondo: il merito non porta né al successo né a essere amati. «I comportamenti che non tengono conto di questa premessa, a meno di colpi di fortuna, sono destinati all’insuccesso» dice. Lo incontriamo in un locale di Tel Aviv, dove si trova per una tappa del NetSci-X, ciclo di conferenze sulla scienza dei network che fa tappa in tutto il mondo. Tra un ballo e una cena, a fine serata sale su un palco e intrattiene un gruppo di scienziati con un intrigante e ricco talk proprio sulla scienza del successo. Che mette al centro i dati e altri ingredienti, come il consenso sociale e la fortuna. «In molti confondono la performance con il successo ma una performance alta non significa automaticamente successo» dice. «La prima è, per esempio, quanto corriamo veloce se siamo runner, quali scoperte scientifiche facciamo se siamo ricercatori, o se da pittori dipingiamo bei quadri... il secondo invece è cosa pensa la comunità – con le sue dinamiche interne - della nostra performance e dipende da come il nostro gruppo di riferimento reagisce alle nostre prestazioni». Se siamo stati educati nel Novecento è possibile che ci ostineremo per anni, decenni, forse tutta la vita, a raggiungere buone performance, increduli tutte le volte che queste non ci portano al risultato sperato. Finché non capiamo che è solo per noi che le due parole coincidono. Incontrare Barabàsi è un’uscita dal tunnel per chi ha il cervello programmato per l’ingenuità compulsiva. «Il successo richiede una performance, è vero, ma non ne è una conseguenza» ripete Barabàsi con cadenza ipnotica. «Solo comprendendo quali sono le forze che trasformano la performance in successo avremo le basi della scienza del successo». Dopo cinque anni di studio sulle carriere
degli scienziati Barabàsi rappresenta i risultati con le vite di premi Nobel, e altri esempi supportati da schemi composti di palle, linee rette e puntini (hub, influencer, relazioni e dati tradotti negli schemi previsionali tipici delle sue slide). «Se nello sport puoi essere percepito come un mediocre runner nonostante un’ottima velocità, in ambiti più discrezionali, come l’arte, non esiste la misura della performance. Ed è proprio qui che il funzionamento della comunità viene alla luce e le sue dinamiche appaiono e si svelano in modo evidente: pur essendo l’arte, soprattutto quella contemporanea, un business miliardario, il successo dipende dai galleristi, dalle mostre, da quale museo esporrà le opere. Per capire quanto tutto avvenga secondo dinamiche e processi non certo logici e meritocratici basti pensare che non è stato mai possibile creare un algoritmo che misuri oggettivamente il valore di un’opera fuori dal successo che la comunità gli riconosce».
In Italia, regno del familismo amorale, lo abbiamo sempre saputo: gli appartenenti a un gruppo rispondono a leggi interne del gruppo stesso, e solo a quelle.
In Italia è addirittura possibile non misurare la scienza secondo il criterio accademico universale. Per ottenere successo, o accelerarlo, devi solo capire i meccanismi che ti circondano. Quali sono le condizioni non scritte del tuo network.
Ma da noi si diventa premier senza elezioni, ministro senza laurea, sindaco se si offrono favori ai faccendieri; si ottiene una cattedra all’università se si asseconda un barone, un ruolo in tv o in un film attraverso parentele o favori sessuali..
L’Italia, nel campo della ricerca scientifica, ma non solo, pur producendo eccellenze è un esempio lampante di assenza di regole oneste. È un luogo dove non si sono sviluppati i giusti criteri per misurare le performance. I criteri corretti non sono accettati dal sistema
Quindi secondo la sua tesi bisognerebbe assecondare e compiacere network di mafie massonerie e nepotismi per ottenere consenso e successo?
Più divorziano le misure della performance e successo, più crescono corruzione e nepotismo. Per questo è importante studiare i fattori di performance e successo attraverso i dati. Solo attraverso la conoscenza e l’evidenza di tutte le dinamiche incrociate avremo modo di cambiare il sistema e provvedere a sviluppare criteri corretti.
In pratica ci consiglia di sospendere il giudizio e di disegnare nero su bianco in schemi e infografiche i mali del nostro Paese: le relazioni di parentela o private nei ministeri, nelle società di appalto, nelle aziende; i fallimenti premiati con promozioni; e poi studiare le dinamiche dei network relazionali di cui non si parla (se non nelle inchieste giudiziarie), che determinano realmente successi, finanziamenti e carriere?
Potrebbe essere una soluzione a cui saranno presto costretti anche Paesi come il vostro, in un mondo che prevede sistemi globali sempre più competitivi. Se si chiariscono i meccanismi la scienza del successo può essere utilizzata anche in quegli ambienti nei quali c’è successo senza performance.
Saranno le tracce digitali a obbligarci a questo?
Con l’automatizzazione dei data collection nelle performance umane di ogni tipo la misurazione delle prestazioni diventa schiacciante, l’evidenza di come funzionano veramente i sistemi anche; uscendo dall’ombra la scelta su come procedere diventa palese. La situazione deve migliorare per forza.