Perché è giusto alzare un muro culturale per fermare Erdogan
Il presidente turco tenta di «avvelenare» l’Europa con la sua propaganda islamista e fascistoide. Per questo ha fatto bene l’Olanda a metterlo alla porta. Mentre l’Ue, al solito, si è mostrata pavida.
C’è voluto un sindaco di fede musulmana e di origine marocchina per ricordare a tutti noi che dobbiamo difendere la nostra identità civica e la nostra cultura politica, fatta di tolleranza e laicità, se non vogliamo essere sottomessi (per dirla con Michel Houellebecq) da quella altrui. Ahmed Aboutaleb ha vietato al ministro degli Esteri turco di tenere un comizio sul referendum con cui il presidente Recep Tayyip Erdogan intende completare la trasformazione della Turchia in un’autocrazia islamista; e così facendo ha dato fuoco alle polveri di una durissima polemica tra le autorità di Ankara e quelle olandesi. Il governo ha sostenuto la decisione del sindaco di Rotterdam, la città che fu di Erasmo, negando il permesso di atterraggio al volo con il quale il ministro voleva comunque imporre la sua indesiderata presenza e ha fatto riaccompagnare alla frontiera la ministra della Famiglia che si proponeva di sostituirlo.
Ne è seguita una polemica al calor bianco in cui quel raffinato intellettuale di Erdogan (la cui cultura storica ricorda quella dell’ex presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, famoso tra l’altro per negare la storicità dell’Olocausto) ha definito l’Olanda «un
avanzo del nazismo», minacciando di «fargliela pagare cara». Cose da guappi di cartone. Ma perché il sindaco di Rotterdam non ha autorizzato il comizio? La ragione è duplice. Da un lato non voleva che la campagna elettorale altrui si sovrapponesse a quella olandese. Dall’altro temeva che la propaganda islamista e fascistoide di Erdogan potesse diffondersi tra i molti olandesi di origine turca che vivono nella sua città (400 mila in tutta l’Olanda). Il pericolo che Erdogan rappresenta per l’Europa
sta tutto qui: nell’intossicare con il veleno della sua propaganda i cittadini europei di origine turca (ormai alcuni milioni), facendo sì che la loro cultura politica venga inquinata da concezioni e valori autoritari. Per impedire tutto ciò, l’Olanda ha il sacrosanto diritto di difendersi. Dopo l’11 settembre si parlò di «fascismo islamico» con riferimento agli jiahdisti. Era concettualmente sbagliato. Ma vedendo come Erdogan sta riducendo la Turchia, a lui ben si attaglia invece il concetto di fascista e islamista, per lo spregiudicato utilizzo dell’islamismo politico al servizio di un personale disegno autoritario. Contro la diffusione di questo veleno, l’islamista liberale Ahmed Aboutaleb,
il sindaco di Rotterdam, ha emesso la sua ordinanza.
L’Europa, che a parole è sempre impegnata a sostenere i principi liberali e democratici in giro per il mondo, e per decenni ha fanfaronato del suo essere una sorta di superpotenza etica (e giustamente condanna i movimenti xenofobi e populisti) non si è mostrata all’altezza di questo coraggioso sindaco. Ha fatto fatica a dimostrare solidarietà a chi, in casa nostra, difende la nostra comune libertà, a schierarsi senza ipocrisie e tartufismi a fianco di chi con la sua storia personale ci ha dimostrato che l’integrazione è possibile solo nel nome dei valori di tolleranza e libertà.
I soliti seguaci della Realpolitik da salotto hanno ammonito del «rischio di perdere la Turchia a vantaggio della Russia». Vorremmo dir loro che è molto più pericoloso ciò che il messaggio di Erdogan lancia alle nostre comunità musulmane, ossia un impasto fatto di machismo, vittimismo, intolleranza e arroganza. Per il resto vorremmo anche «tranquillizzarli»: la Turchia è già persa per l’Europa. Erdogan ha già scelto di guardare altrove. E anche per aver le mani più libere, ha deciso di rompere gli indugi e gettare la maschera del riformista moderato per rivelare il
disegno autoritario che ormai apertamente persegue. Ricorrendo, ancora una volta, al sempreverde schema del politilogo Albert Hirschman (Exit, Voice and Loyalty), potremmo dire che dopo un’iniziale, apparente, lealtà europea, Erdogan è passato alla sua contestazione sistematica, per poi, negli anni più recenti, cogliere ogni occasione per defezionare dalla prospettiva di un avvicinamento all’Europa. Con le minacce e gli insulti rivolti all’Olanda,
questa parabola si è definitivamente conclusa. E lo strappo si è consumato: prima ne prenderemo atto, meglio sarà per tutti noi. Anche rispetto alla sua membership atlantica, occorre infine rilevare come la fedeltà turca sia fortemente in discussione. Benché la Turchia sia ancora formalmente un Paese membro della Nato, è evidente il suo ingresso nella sfera di influenza russa, a seguito dell’accordo trilaterale con Mosca e Teheran sulla Siria. Ciò che è più pericoloso per i nostri interessi nazionali sono però le sue manovre per l’islamizzazione totale della Bosnia-Erzegovina, dell’Albania e del Kosovo, i cui effetti destabilizzanti rischiano di costituire una minaccia diretta alla sicurezza europea.