Biosimilari, la scelta più giusta per tante malattie
Questi farmaci sono chiamati così perché «simili» ai medicinali biologici (che però sono molto più costosi). Garantiscono la stessa efficacia e sicurezza e, in più, permettono un risparmio del 30 per cento della spesa farmaceutica.
Il termine, «biosimilari», di per sé dirà poco al lettore. «Farmaci biologici o biotecnologici» è già più familiare: sono molecole grandi, prodotte da cellule viventi grazie all’ingegneria genetica, che servono per curare con successo molte malattie: tumori, diabete, patologie autoimmuni, infarto, ictus, sclerosi multipla...
Sono terapie che hanno rappresentato (ed è tuttora così) una rivoluzione in molti settori; ma sono molto costose, e per questo il loro utilizzo non è così diffuso. Ed è qui che intervengono i loro «cugini», i biosimilari. Chiamati così perché simili al prodotto originario (dopo che è scaduto il brevetto), ma decisamente più economici: permettono un risparmio della spesa sanitaria di circa il 30 per cento.
Vi vengono in mente i farmaci generici? Il confronto non è del tutto esatto: i generici sono molecole piccole, uguali ai medicinali di riferimento, e prima di raggiungere il mercato non devono superare studi clinici. I biosimilari, invece, non sono cloni dei medicinali biologici, né potrebbero esserlo perché provengono da organismi viventi. Anche il farmaco originatore, del resto, subisce variazioni dovute al suo processo produttivo: ogni nuovo lotto è come se fosse, in un certo senso, il biosimilare del precedente; e per garantire la stessa efficacia e sicurezza deve sottoporsi, come i biosimilari, a prove di comparabilità.
In Europa, e anche in Italia, i farmaci biosimilari approvati sono 23. Altri stanno per arrivare. «La vera innovazione è la loro capacità di fornire la stessa qualità del farmaco originatore ma a un prezzo ridotto» dice Silvio Danese, responsabile del Centro per le malattie infiammatorie croniche intestinali di Humanitas, docente alla Humanitas University e presidente di Ecco (European Crohn´s and colitis organisation). Tra le varie malattie per le quali queste molecole sono utili c’è, per esempio, il morbo di Crohn, in continuo aumento nei paesi industrializzati (ne soffrirebbero circa 200 mila italiani). «Per questa patologia» spiega Dane
se «i farmaci biologici e, ora, i biosimilari, sono fondamentali: riescono a fermare l’infiammazione che ne è alla base. Sono stati appena approvati biosimilari che, come i rispettivi originatori, bloccano specifiche molecole infiammatorie. Hanno dimostrato efficacia sia nei pazienti resistenti ai trattamenti precedenti sia in pazienti “nuovi”. È il caso, per esempio, del biosimilare dell’anticorpo monoclonale infliximab». Tenere a bada l’infiammazione, in queste malattie, è importante perché significa prevenire eventuali complicanze (e interventi chirurgici) e, a lungo andare, lo sviluppo di tumori, di cui l’infiammazione è un fattore di rischio.
Un altro settore dove i farmaci biologici hanno cambiato la prognosi è quello emato-oncologico, ossia i tumori del
sangue. «Entro l’anno dovrebbe arrivare il primo biosimilare del rituximab: è un anticorpo monoclonale molto usato, in associazione con la chemioterapia, nei linfomi non-Hodgkin e nella leucemia linfatica cronica perché va a colpire un preciso bersaglio molecolare espresso dalle cellule patologiche» spiega Roberto Foà, direttore del Centro di ematologia, Policlinico Umberto 1 all’Università Sapienza di Roma. «Viviamo in un’epoca di innovazioni impressionanti, con tempi di trasferimento dai laboratori alla pratica clinica assai rapidi. I farmaci diventano sempre più mirati ma anche sempre più cari; sicuramente con l’uso dei biosimilari si potrà contribuire a contenere costi che per la sanità pubblica rischiano di diventare insostenibili» .
Non solo: dal momento che in Italia esistono tetti per la spesa dei medicinali biologici, il costo inferiore dei biosimilari consentirà di curare un maggiore numero di malati. «E magari di curarli più a lungo, visto che oggi un 70enne ha un’aspettativa di vita di altri 20 anni circa» aggiunge Foà. «Un farmaco come il rituximab, per esempio, lo diamo anche nei pazienti più anziani. Ma ancora oggi in molti paesi meno ricchi non è disponibile perché troppo caro. E non è neppure il più costoso. Al di là del discorso economico, che pure è importante, i biosimilari potranno permettere di trattare più pazienti».