Il piano del Cavaliere per essere pronto alle elezioni
La sentenza sulla legge Severino è attesa a Strasburgo entro l’anno. E per evitare ulteriori slittamenti, Berlusconi chiede che in caso di vittoria sia la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo a disporre direttamente il suo reintegro in Senato.
Si chiama «reintegro», ed è una svolta tecnica fondamentale nella storia del ricorso presentato nel 2013 da Silvio Berlusconi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) contro la legge Severino e contro la propria decadenza da parlamentare. La svolta è contenuta nell’ultima memoria che lo scorso 15 febbraio è stata allegata al ricorso originario dai legali di Berlusconi: in caso di una decisione favorevole da parte dei giudici di Strasburgo, si potrebbe restituire in tempi rapidi al leader di Forza Italia il seggio che nel novembre 2013 gli fu strappato con un inusitato voto palese dal Senato, e riconsegnargli così un completo ruolo politico.
In attesa della sentenza, prevista entro l’anno, da tempo i difensori di Berlusconi s’interrogavano sulla difficoltà delle strade da intraprendere se, come sperano, la Corte di Strasburgo dovesse stabilire che la legge Severino ha effettivamente violato l’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani e illegittimamente imposto al loro cliente l’abbandono del seggio.
Quell’articolo, del resto, sancisce un principio universale: nessuno può essere condannato in base a una norma che non fosse in vigore al tempo in cui sono stati commessi i fatti. E la legge Severino è entrata in vigore nel gennaio 2013, mentre la frode fiscale, cioè il reato contestato a Berlusconi e per il quale è stato condannato in Cassazione, risale agli anni 1995-98, al più tardi al 2004.
Il problema dei problemi, però, è che anche una sentenza della Cedu favorevole al Cavaliere non basterebbe da sola a restituirgli l’agibilità politica, perché prima servirebbero concrete misure di attuazione da parte del governo di Roma. Le soluzioni ipotizzate dagli avvocati di Berlusconi finora erano state tre, e tutte prevedevano un percorso comunque lungo e complesso. La prima soluzione: il governo avrebbe potuto rimettere al Parlamento la legge Severino perché venisse modificata. La seconda: Berlusconi, davanti a un rifiuto dell’ufficio elettorale di accettare la sua candidatura nonostante una sentenza favorevole di Strasburgo, avrebbe potuto presentare un ricorso d’urgenza al giudice civile e innescare una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. La terza soluzione: Berlusconi avrebbe potuto tentare un ricorso d’urgenza, per ottenere un provvedimento che gli permettesse di candidarsi.
Con quest’ultima memoria difensiva, invece, i professori Andrea Saccucci e Bruno Nascimbene (tra i massimi esperti europei nella tutela dei diritti umani) hanno lanciato una quarta soluzione, tanto semplice quanto rapida ed efficace. Nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo esistono infatti almeno cinque casi in cui i governi di Gran Bretagna, Grecia, Romania, Ungheria e Ucraina sono stati condannati per la decadenza di un loro parlamentare, decisa dalla Camera d’appartenenza in violazione di norme della Convenzione europea.
In gioco, è evidente, sono fondamentali principi del diritto. La destituzione dal mandato parlamentare, secondo la giurisprudenza di Strasburgo, incide infatti negativamente non solo sull’interesse e sui diritti del titolare della carica, ma anche sugli interessi e sui diritti degli elettori, pregiudicando il rispetto dei valori della rappresentatività democratica e della sovranità popolare. In particolare, nel giugno 2006 la Corte europea ha condannato la Grecia su ricorso di un senatore, tale Lykourezos, che era stato illegittimamente dichiarato decaduto per un’incompatibilità professionale introdotta da una legge successiva alla sua elezione. Nel suo caso, la Corte ha stabilito che non sia possibile la decadenza di un parlamentare «in virtù di una legge votata nella stessa legislatura», soprattutto «se in assenza di un controllo successivo di legittimità sull’operato del Senato».
Ma questo è esattamente quello che nel novembre 2013 è accaduto a Berlusconi con la legge Severino.
Un altro punto di forza contenuto nella nuova memoria riguarda proprio l’organo che oltre quattro anni fa ha deciso (con 192 voti su 315) per la decadenza del Cavaliere: è stato il Senato, con una decisione che i suoi difensori definiscono irrituale perché, prima di quella volta, non aveva mai votato sulla materia a scrutinio palese. Inoltre, nella legge italiana non esiste un organo giurisdizionale di controllo sull’operato del Senato. E anche in questo caso la giurisprudenza della Cedu è chiara, come mostra la sentenza del marzo 2010 con cui Strasburgo ha condannato la Romania per avere fatto decadere un parlamentare della minoranza etnica italiana, Mircea Grosaru: nel suo caso la Corte ha stabilito che «non vi erano state sufficienti garanzie d’imparzialità riguardo alle autorità competenti a esaminare i suoi ricorsi». E ha condannato il governo romeno perché il parlamentare decaduto non aveva potuto fare ricorso se non «a una commissione della Camera dei deputati rumena, composta di membri dei partiti politici e la cui imparzialità poteva essere soggetta a dubbi».
Sulla base di quelle pronunce, oggi la difesa del
Cavaliere chiede che la Cedu, condannando il governo italiano, reintegri direttamente il fondatore di Forza Italia nel suo seggio. In alternativa, se le Camere fossero già state sciolte, la Corte dovrebbe restituirgli «la piena e immediata agibilità politica» Se questo dovesse accadere, in caso di una vittoria a Strasburgo Berlusconi potrebbe recuperare più che velocemente il suo diritto a sedere in Senato, oppure a candidarsi già alle prossime elezioni.
Con una postilla economica. Perché, in quel caso, è evidente che lo Stato dovrebbe anche restituire al senatore illegittimamente decaduto le sue mancate indennità. Berlusconi ha già stabilito, però, che la cifra dovrebbe essere devoluta al centro per anziani nel quale ha svolto i servizi sociali della condanna: la Fondazione Sacra famiglia di Cesano Boscone. Quanto infine ai danni d’immagine, che pure i suoi legali stimano «incommensurabili» (il 27 novembre 2013, mentre si votava la decadenza, in Senato stazionavano oltre 500 giornalisti e almeno 40 troupe televisive italiane e straniere), il Cavaliere non intende chiedere alcun risarcimento. Gli basterà che, in caso di condanna del governo italiano, la sua rinuncia venga citata nella sentenza.
Adesso il governo italiano ha tempo fino al 21 marzo per replicare alla mossa dei legali di Berlusconi. Poi spetterà alla Corte. La partita, è evidente, è più che mai aperta.