Marroni nel fortino
Le confidenze ai dipendenti della Consip, le reazioni ai veleni che circolano su di lui e nessuna intenzione di ritrattare le accuse a Lotti e a papà Renzi. Così il principale testimone dell’affaire Romeo attende gli sviluppi e pianifica una possibile con
La storia di Luigi Marroni e della Consip si potrebbe cominciare a raccontarla in molti modi. Forse, però, è bene partire dalla (quasi) fine. Ovvero, dall’ improvvisa convocazione dell’intera forza lavoro della Centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana. È datata 2 marzo 2017 e quel giorno, nell’auditorium della sede di via Isonzo, fa caldo: la sala è da 100 posti e in Consip lavorano 350 persone, tutte reduci dalla lettura di un’intervista appena concessa dal loro amministratore delegato. In sostanza, al quotidiano la Repubblica Marroni conferma di avere ricevuto pressioni dal faccendiere Carlo Russo e dal padre di Matteo Renzi, Tiziano, per far ottenere appalti all’imprenditore Alfredo Romeo. Inoltre, rivela di aver presentato le sue dimissioni al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che però «mi ha confermato la fiducia e invitato ad andare avanti».
Parlando con i suoi colleghi, Marro
ni diventa più espansivo. Riferendosi ai tentativi di corruzione, spiega: «Dobbiamo rimanere uniti, queste cose si verificano anche nelle migliori famiglie». E aggiunge: «Ero pronto a lasciare, ma mi è stato detto che non era necessario, anzi di continuare più forte che pria...». L’ad non nomina mai Luca Lotti, che gli avrebbe rivelato l’esistenza di un’inchiesta sulla Consip, circostanza poi riferita da Marroni ai magistrati che perciò indagano (anche) sul ministro dello sport. Marroni evita pure di parlare di Marco Gasparri, il funzionario reo confesso di una tangente da 100 mila euro ricevuta da Romeo. Ma tende a ridimensionare la portata di tale fattaccio: «Non sempre quello che leggete sui giornali o sentite in televisione corrisponde esattamente al vero». Infine invita la platea a «continuare a fare il proprio lavoro con lo stesso straordinario impegno», ribadendo la fiducia sua e del governo, inteso come Padoan (che per questo è odiatissimo dallo stresso giro renziano, naturalmente sotto traccia).
Lì per lì, tutti apprezzano le parole di Marroni. Con il trascorrere dei giorni, tuttavia, qualche perplessità si manifesta. A molti ancora sfugge il senso di quella riunione: «Quando Luigi ci chiama» spiegano «è perché deve annunciare qualcosa di importante. Il 2 marzo, invece, si è limitato all’ordinario, e non è da lui». Per dire, attendevano istruzioni su un altro passo dell’intervista, un impegno da assolvere in appena quattro giorni: «Presenteremo una modifica al nostro regolamento che preveda la revoca delle gare sulle quali nutriamo dei sospetti». Almeno fino al 13 marzo, però, ai funzionari Consip non è stato chiesto di rallentare, gare in freezer non ce ne sono. Insomma, l’attività prosegue uguale al passato, in un clima di calma apparente.
Appunto, apparente: dopo quella as
semblea, lo stesso Marroni ha ridotto al minimo gli impegni, sedato la sua caratteristica parlantina e si è rintanato nell’ufficio al piano attico, circondato da finestre che affacciano su Villa Borghese. Una vista riposante, utile a smaltire le tensioni, che continuano tuttavia a minare la serenità dell’ad, che ha persino smesso di raccontare i suoi aneddoti preferiti, quelli sui trattori della Fiat, per la quale fu vice presidente di Cnh, la holding delle macchine agricole. È proprio in quel periodo che il suo percorso s’interseca con quello di Enrico Rossi, attuale governatore della Toscana, del quale dal 2004 segue come un’ombra la carriera, fino a diventarne assessore alla Sanità. Siamo nel 2012 e due anni dopo il premier Matteo Renzi gli chiederà di guidare la Consip.
Perciò, quando arriva a Roma, il neo amministratore delegato viene presentato come l’uomo sponsorizzato da Rossi. Ma «Luigi» e «Matteo» si conoscono già da due lustri: Marroni diventa direttore della Asl di Firenze lo stesso anno in cui Renzi viene eletto presidente della Provincia, il 2004. Per lanciare la candidatura dell’allora Rottamatore, viene organizzato un grande evento. E al tavolo d’onore siede pure Marroni, invitato da Alberto Bianchi, dominus della fondazione Open, vero braccio politico e finanziario del renzismo, che dieci anni più tardi sarà (anche) consulente della Consip marroniana.
Nel frattempo, Luigi e Matteo fraternizzano rapidamente, anche perché si somigliano in maniera impressionante. Non solo condividono i valori dello scoutismo (l’ad di Consip è stato scout vent’anni prima di Renzi), ma sono fatti della stessa pasta. Pure Marroni è un tipo vulcanico, pure lui «ogni mattina ha dieci proposte nuove, di cui solo mezza è realizzabile». E poi offre delle garanzie: sposa in pieno la linea del governo sulla spending review, anche se i suoi critici sostengono che, anziché guarire il male, punti soltanto a eliminare i sintomi. La strategia è quella di noleggiare tutto l’occorrente, dalle auto blu ai defibrillatori. All’inizio si risparmia, è vero. Ma sul lungo termine i costi dei noleggi possono ricadere sui bilanci futuri (con buona pace di chi capita al governo dopo...). Domanda: data tale vicinanza, com’è stato dunque possibile che Luigi rivelasse ai magistrati le presunte malefatte del Tiziano Renzi (padre di Matteo) e Luca Lotti, il migliore amico del fu premier? Nella Consip, anzi dagli uffici di diretta dipendenza di Marroni, la lettura è netta: «Se un pubblico ministero ti chiede, rispondi, a maggior ragione quando non hai nulla da nascondere».
Ora, chiuso nel suo fortino, l’ad ha
comunque ben presente la criticità della situazione. Sa che la guerra di nervi è solo all’inizio. I suoi accusati sperano in una ritrattazione che, è bene sottolinearlo, non arriverà. Anzi, se Marroni ha rifiutato di sottoporsi all’interrogatorio degli avvocati di Tiziano Renzi, è solo perché intende confermare le stesse dichiarazioni, che ribadirà davanti ai magistrati. Magari aggiungendo una denuncia contro gli anonimi autori dei dossier che circolerebbero sul suo conto, alcuni sottili, altri cattivi, altri ancora addirittura infamanti. Quelli sottili si limiterebbero a sottolineare la sua vicinanza a Rossi, che avrebbe raggirato Renzi, piazzando alla Consip un suo uomo capace di distruggere il sistema di potere renziano. I cattivi, invece, sosterrebbero che nelle dichiarazioni di Marroni ai pm compaiano solo Lotti, Russo e Tiziano Renzi e che, così facendo, l’ad ha voluto favorire i renziani a lui più vicini, a partire da Bianchi e Maria Elena Boschi. Gli infamanti, infine, segnalano l’ad di Consip quale prodotto della potente massoneria toscana.
Voci miserevoli, che hanno ancora più irritato Marroni. E proprio mentre tra i corridoi della Consip raccontano che l’amministratore delegato avrebbe prodotto «prove che ancora non sono circolate sulla stampa». Mail? Sms? Audio compromettenti finora sfuggiti ai giornalisti? O soltanto leggende?
(ha collaborato Francesco Bisozzi)