Per i veneti, la scelta più difficile
Accettare un modesto rimborso o rifiutare, rischiando di far fallire Popolare di Vicenza e Veneto Banca? Gli azionisti hanno una sola certezza: «Siamo stati truffati» dicono «e la prospettiva del crac serve solo a metterci pressione».
Un nodo allo stomaco fatto di rabbia, paura e forse anche di rassegnazione, accomuna in questi giorni 169 mila risparmiatori italiani, metà in Veneto e gli altri sparsi soprattutto in Lombardia, Piemonte, Sicilia e Puglia. Sono quelli che fra il 2007 e il 2014 hanno comprato azioni (più o meno consapevolmente) di Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca, i due principali istituti di credito del Nordest. Quasi tutti lo hanno fatto essendone già correntisti da tanti anni e nella convinzione di accedere a una forma di tesaurizzazione del risparmio. Invece si trattava di investimenti ad alto, altissimo rischio. Che alla fine si sono polverizzati.
Entro l’orario di chiusura degli uffici di mercoledì 22 marzo, se non ci saranno proroghe, dovranno prendere la loro decisione: accettare il 15 per cento di ciò che pensavano di possedere (rinunciando a ogni richiesta futura), oppure rifiutare l’offerta di transazione delle banche e partire con cause e richieste di risarcimento. Nel primo caso metteranno una pietra sulla speranza di veder riconosciuta la truffa di cui si sentono vittime, nel secondo dovranno affrontare altre spese che potrebbero anche non portare un euro.
Che cosa decideranno di fare? Questo è l’interrogativo che tiene il mondo del credito con il fiato sospeso. Da giorni le due banche telefonano e mandano mail a raffica, sperando di ottenere il maggior numero di adesioni. Sabato 11 marzo gli uffici sono rimasti aperti e lo stesso accadrà nel week end del 18-19 marzo per continuare l’opera di convincimento. Ripetono a tutti che all’offerta del 15 per cento non c’è alternativa e che sulle spalle dei risparmiatori grava ora la nuova, tremenda responsabilità di arbitri di questa partita, perché in mancanza di un’adesione dell’80 per cento o giù di lì potrebbe esserci il fallimento. E allora addio non solo ai risarcimenti, ma anche agli 11 mila posti di lavoro dei dipendenti e alla possibilità di conservare un istituto di credito (quello che dovrebbe nascere dalla fusione dei due) legato alla loro terra.
Gli ultimi dati ufficiosi, impossibili da verificare,
parlano di un’adesione al 40 per cento, che potrebbe accelerare per poi compiere un balzo nelle ultime ore, come accade di regola nelle offerte pubbliche di acquisto. Può darsi che vada così. Ma in tanti fanno una gran fatica a ingoiare il rospo. Da settimane si svolgono in giro per il Veneto assemblee e incontri infuocati, in cui vanno in scena rabbia e rancore di un popolo che si sente tradito. L’ultimo la sera del 9 marzo a Treviso: 200 persone all’esterno di un piccolo auditorium che il Comune aveva promesso di concedere e invece era inspiegabilmente chiuso. Così si comincia al freddo, con gli oratori arrampicati sulla scala antincendio.
Storie da far rabbrividire ce ne sono in quantità: piccoli risparmiatori e imprenditori a cui la crisi delle due banche ha aperto una botola sotto i piedi. C’è chi ha comprato azioni perché altrimenti non avrebbe avuto il rinnovo del fido e ora si trova con le azioni a zero e il fido sempre da pagare. Altri hanno messo nelle azioni della banca tutta la liquidazione e qualcuno si è lasciato perfino convincere a smantellare per questo la polizza vita. Per non parlare delle centinaia cui è stata rifiutata la richiesta di vendita delle azioni per mancanza di acquirenti e poi si sono visti scavalcati da altri, meglio introdotti di loro. I nomi? «No» spiegano gli interessati «abbiamo ancora il fido e non
vogliamo certo entrare nel mirino della banca».
All’interno dell’auditorium di Treviso, aperto finalmente dopo tre quarti d’ora di attesa, vengono al pettine i nodi più duri, insieme con il disorientamento generale. L’Associazione soci delle popolari venete ha invitato a parlare il titolare di uno studio di legali-commercialisti di Milano, Riccardo Rocca, che spiega: «Tali e tante sono le irregolarità commesse dalle banche dal 2011 che chi ha comprato azioni dopo questa data ha ottime chance di vincere. Chi invece ha acquistato negli anni precedenti dovrebbe accettare l’offerta di transazione».
Sembra una linea battagliera, forse perfino
audace. Eppure in pochi minuti si solleva l’onda dell’insoddisfazione dei vecchi azionisti. «Perché dovrei accettare il 15 per cento? Ho comprato azioni della banca in cui avevo da sempre i risparmi, che all’epoca era una cooperativa. Nessuno mi ha detto che era un investimento a rischio!», grida una signora. Diversi le vanno dietro, compresa la senatrice del Movimento 5 stelle, Paola De Pin, che sposa subito la linea intransigente. L’organizzatore dell’incontro, il vicepresidente dell’Associazione, Francesco Celotto, predica realismo e si sgola per trattenere i più agitati. «Un conto sono le giuste recriminazioni» obietta «altro è portare a casa i soldi». Si riesce a ritrovare un po’ di calma, ma è dura, anche perché i risparmiatori veneti si muovono in ordine sparso. Un anno e mezzo fa l’energico parroco di Dese, don Enrico Torta, aveva fatto il miracolo di metterli tutti d’accordo per un po’, ma quel fronte si è ormai sfaldato.
Per quanto possa sembrare paradossale, tanti
gruppetti organizzati si contendono le adesioni in concorrenza fra loro. L’avvocato Andrea Arman, uno dei primi organizzatori della protesta, denuncia «l’esproprio del risparmio dei veneti» e incita al rifiuto massiccio della transazione per andare tutti in causa. Anche l’ex imprenditore Patrizio Miatello è contro la transazione ma sconsiglia vivamente anche le cause civili. «L’unica strada» dice a Panorama «è insinuarsi con richieste di risarcimento nei procedimenti penali contro i vecchi dirigenti». Nuotano in questo mare anche le associazioni dei consumatori come l’Adiconsum, che dichiara più di 2 mila richieste di assistenza. Secondo il presidente dell’associazione in Veneto, Valter Rigobon, «le banche dovrebbero arrivare al 30 per cento di risarcimento».
L’unica cosa su cui concordano tutti è lo scetticismo verso il rischio fallimento, considerato uno spauracchio per indurre il maggior numero di soci a firmare. La previsione è che alla transazione aderiranno fra il 50 e il 65 per cento dei risparmiatori stangati e che le banche se lo faranno bastare. A decidere saranno solo loro, i 169 mila con il nodo allo stomaco.