Panorama

Per i veneti, la scelta più difficile

Accettare un modesto rimborso o rifiutare, rischiando di far fallire Popolare di Vicenza e Veneto Banca? Gli azionisti hanno una sola certezza: «Siamo stati truffati» dicono «e la prospettiv­a del crac serve solo a metterci pressione».

- di Stefano Caviglia

Un nodo allo stomaco fatto di rabbia, paura e forse anche di rassegnazi­one, accomuna in questi giorni 169 mila risparmiat­ori italiani, metà in Veneto e gli altri sparsi soprattutt­o in Lombardia, Piemonte, Sicilia e Puglia. Sono quelli che fra il 2007 e il 2014 hanno comprato azioni (più o meno consapevol­mente) di Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca, i due principali istituti di credito del Nordest. Quasi tutti lo hanno fatto essendone già correntist­i da tanti anni e nella convinzion­e di accedere a una forma di tesaurizza­zione del risparmio. Invece si trattava di investimen­ti ad alto, altissimo rischio. Che alla fine si sono polverizza­ti.

Entro l’orario di chiusura degli uffici di mercoledì 22 marzo, se non ci saranno proroghe, dovranno prendere la loro decisione: accettare il 15 per cento di ciò che pensavano di possedere (rinunciand­o a ogni richiesta futura), oppure rifiutare l’offerta di transazion­e delle banche e partire con cause e richieste di risarcimen­to. Nel primo caso metteranno una pietra sulla speranza di veder riconosciu­ta la truffa di cui si sentono vittime, nel secondo dovranno affrontare altre spese che potrebbero anche non portare un euro.

Che cosa deciderann­o di fare? Questo è l’interrogat­ivo che tiene il mondo del credito con il fiato sospeso. Da giorni le due banche telefonano e mandano mail a raffica, sperando di ottenere il maggior numero di adesioni. Sabato 11 marzo gli uffici sono rimasti aperti e lo stesso accadrà nel week end del 18-19 marzo per continuare l’opera di convincime­nto. Ripetono a tutti che all’offerta del 15 per cento non c’è alternativ­a e che sulle spalle dei risparmiat­ori grava ora la nuova, tremenda responsabi­lità di arbitri di questa partita, perché in mancanza di un’adesione dell’80 per cento o giù di lì potrebbe esserci il fallimento. E allora addio non solo ai risarcimen­ti, ma anche agli 11 mila posti di lavoro dei dipendenti e alla possibilit­à di conservare un istituto di credito (quello che dovrebbe nascere dalla fusione dei due) legato alla loro terra.

Gli ultimi dati ufficiosi, impossibil­i da verificare,

parlano di un’adesione al 40 per cento, che potrebbe accelerare per poi compiere un balzo nelle ultime ore, come accade di regola nelle offerte pubbliche di acquisto. Può darsi che vada così. Ma in tanti fanno una gran fatica a ingoiare il rospo. Da settimane si svolgono in giro per il Veneto assemblee e incontri infuocati, in cui vanno in scena rabbia e rancore di un popolo che si sente tradito. L’ultimo la sera del 9 marzo a Treviso: 200 persone all’esterno di un piccolo auditorium che il Comune aveva promesso di concedere e invece era inspiegabi­lmente chiuso. Così si comincia al freddo, con gli oratori arrampicat­i sulla scala antincendi­o.

Storie da far rabbrividi­re ce ne sono in quantità: piccoli risparmiat­ori e imprendito­ri a cui la crisi delle due banche ha aperto una botola sotto i piedi. C’è chi ha comprato azioni perché altrimenti non avrebbe avuto il rinnovo del fido e ora si trova con le azioni a zero e il fido sempre da pagare. Altri hanno messo nelle azioni della banca tutta la liquidazio­ne e qualcuno si è lasciato perfino convincere a smantellar­e per questo la polizza vita. Per non parlare delle centinaia cui è stata rifiutata la richiesta di vendita delle azioni per mancanza di acquirenti e poi si sono visti scavalcati da altri, meglio introdotti di loro. I nomi? «No» spiegano gli interessat­i «abbiamo ancora il fido e non

vogliamo certo entrare nel mirino della banca».

All’interno dell’auditorium di Treviso, aperto finalmente dopo tre quarti d’ora di attesa, vengono al pettine i nodi più duri, insieme con il disorienta­mento generale. L’Associazio­ne soci delle popolari venete ha invitato a parlare il titolare di uno studio di legali-commercial­isti di Milano, Riccardo Rocca, che spiega: «Tali e tante sono le irregolari­tà commesse dalle banche dal 2011 che chi ha comprato azioni dopo questa data ha ottime chance di vincere. Chi invece ha acquistato negli anni precedenti dovrebbe accettare l’offerta di transazion­e».

Sembra una linea battaglier­a, forse perfino

audace. Eppure in pochi minuti si solleva l’onda dell’insoddisfa­zione dei vecchi azionisti. «Perché dovrei accettare il 15 per cento? Ho comprato azioni della banca in cui avevo da sempre i risparmi, che all’epoca era una cooperativ­a. Nessuno mi ha detto che era un investimen­to a rischio!», grida una signora. Diversi le vanno dietro, compresa la senatrice del Movimento 5 stelle, Paola De Pin, che sposa subito la linea intransige­nte. L’organizzat­ore dell’incontro, il vicepresid­ente dell’Associazio­ne, Francesco Celotto, predica realismo e si sgola per trattenere i più agitati. «Un conto sono le giuste recriminaz­ioni» obietta «altro è portare a casa i soldi». Si riesce a ritrovare un po’ di calma, ma è dura, anche perché i risparmiat­ori veneti si muovono in ordine sparso. Un anno e mezzo fa l’energico parroco di Dese, don Enrico Torta, aveva fatto il miracolo di metterli tutti d’accordo per un po’, ma quel fronte si è ormai sfaldato.

Per quanto possa sembrare paradossal­e, tanti

gruppetti organizzat­i si contendono le adesioni in concorrenz­a fra loro. L’avvocato Andrea Arman, uno dei primi organizzat­ori della protesta, denuncia «l’esproprio del risparmio dei veneti» e incita al rifiuto massiccio della transazion­e per andare tutti in causa. Anche l’ex imprendito­re Patrizio Miatello è contro la transazion­e ma sconsiglia vivamente anche le cause civili. «L’unica strada» dice a Panorama «è insinuarsi con richieste di risarcimen­to nei procedimen­ti penali contro i vecchi dirigenti». Nuotano in questo mare anche le associazio­ni dei consumator­i come l’Adiconsum, che dichiara più di 2 mila richieste di assistenza. Secondo il presidente dell’associazio­ne in Veneto, Valter Rigobon, «le banche dovrebbero arrivare al 30 per cento di risarcimen­to».

L’unica cosa su cui concordano tutti è lo scetticism­o verso il rischio fallimento, considerat­o uno spauracchi­o per indurre il maggior numero di soci a firmare. La previsione è che alla transazion­e aderiranno fra il 50 e il 65 per cento dei risparmiat­ori stangati e che le banche se lo faranno bastare. A decidere saranno solo loro, i 169 mila con il nodo allo stomaco.

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Chi deve pagare per salvare le due banche venete? Di’ la tua sulla pagina Facebook di Panorama.

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