Panorama

Scusate se c’è una Carta

La legge Severino per i parlamenta­ri è in contrasto con gli articoli 66 e 68 della Costituzio­ne. I 5 Stelle se ne facciano una ragione. E Di Maio, anziché incitare alla violenza, riprenda gli studi che non ha mai terminato.

- di Claudio Martelli

Rileggiamo Luigi Di Maio: «È stato creato un precedente pericolosi­ssimo… non vi lamentate se i cittadini manifestan­o in maniera violenta fuori dal Parlamento se dentro si fanno atti eversivi. Fate prima a riaprire le patrie galere». Dunque, per la mente più lucida dei 5 Stelle candidato premier d’Italia applicare la Costituzio­ne è un atto eversivo. È proprio la Costituzio­ne infatti a stabilire che: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiun­te di ineleggibi­lità e di incompatib­ilità» (art.66). Chissà, forse Di Maio aveva già interrotto gli studi

di giurisprud­enza prima di leggere la Carta o nel movimento gli hanno spiegato che leggere fa male. Di sicuro non conosce neanche la legge Severino di cui invoca l’applicazio­ne e che appunto prevede che «le Camere deliberano la decadenza di un loro membro secondo l‘articolo 66 della Costituzio­ne», cioè votando liberament­e. Catapultat­o all’improvviso da Pomigliano alla vice presidenza della Camera, Di Maio non si rende neanche conto che le sue scempiaggi­ni innescano un corto circuito politico oltre che logico. Se una libera decisione del Parlamento è eversiva allora fu eversiva anche la decisione del Senato che decretò la decadenza di Silvio Berlusconi. O le uniche deliberazi­oni non eversive sono quelle approvate da Beppe Grillo? Se masticasse di diritto come di web e di sudditanza, Di Maio potrebbe invocare come scusante che è la stessa legge Severino a rischio di incostituz­ionalità perché effet-

tivamente è così. La legge Severino, legge ordinaria, fu pensata inizialmen­te per gli eletti dei Consigli regionali e comunali. Era l’epoca degli scandali a ripetizion­e generati dall’uso personale e disinvolto dei rimborsi pubblici da parte dei consiglier­i e dei loro gruppi locupletat­i con ricche distrazion­i dai bilanci di Comuni e Regioni. Reagire varando una legge che assegnava ai giudici

la repression­e legale di queste malversazi­oni fu giusto. L’insanabile contraddiz­ione della Severino è stata quella di estendere - con effetto retroattiv­o! - la stesse norme ai membri del Parlamento salvo poi dover richiamare l’art.66. Il giudice ordinario può sancire la decadenza di un consiglier­e regionale o comunale ma non la decadenza dei parlamenta­ri: questa spetta alla Camera di appartenen­za. Questa diversità dei parlamenta­ri rispetto ai comuni cittadini è scolpita in quel che resta dell’articolo 68 per ciò che concerne indagini, ispezioni, arresti e nell’articolo 66 per i casi di decadenza. Queste garanzie derivano da un principio costituzio

nale: la separazion­e dei poteri. Che i populisti alla Di Maio incitino alla violenza popolare contro le libertà parlamenta­ri non stupisce. Gli eletti 5 Stelle non rappresent­ano il popolo e non sono liberi. Rappresent­ano Grillo - domani Di Maio o Lady Taverna - e devono solo credere, obbedire e combattere. Chi sgarra è licenziato, «fired», «fuori» come nei tv show di Donald Trump o di Flavio Briatore, e deve restituire al movimento gli emolumenti che lo Stato gli ha versato.

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