Scusate se c’è una Carta
La legge Severino per i parlamentari è in contrasto con gli articoli 66 e 68 della Costituzione. I 5 Stelle se ne facciano una ragione. E Di Maio, anziché incitare alla violenza, riprenda gli studi che non ha mai terminato.
Rileggiamo Luigi Di Maio: «È stato creato un precedente pericolosissimo… non vi lamentate se i cittadini manifestano in maniera violenta fuori dal Parlamento se dentro si fanno atti eversivi. Fate prima a riaprire le patrie galere». Dunque, per la mente più lucida dei 5 Stelle candidato premier d’Italia applicare la Costituzione è un atto eversivo. È proprio la Costituzione infatti a stabilire che: «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità» (art.66). Chissà, forse Di Maio aveva già interrotto gli studi
di giurisprudenza prima di leggere la Carta o nel movimento gli hanno spiegato che leggere fa male. Di sicuro non conosce neanche la legge Severino di cui invoca l’applicazione e che appunto prevede che «le Camere deliberano la decadenza di un loro membro secondo l‘articolo 66 della Costituzione», cioè votando liberamente. Catapultato all’improvviso da Pomigliano alla vice presidenza della Camera, Di Maio non si rende neanche conto che le sue scempiaggini innescano un corto circuito politico oltre che logico. Se una libera decisione del Parlamento è eversiva allora fu eversiva anche la decisione del Senato che decretò la decadenza di Silvio Berlusconi. O le uniche deliberazioni non eversive sono quelle approvate da Beppe Grillo? Se masticasse di diritto come di web e di sudditanza, Di Maio potrebbe invocare come scusante che è la stessa legge Severino a rischio di incostituzionalità perché effet-
tivamente è così. La legge Severino, legge ordinaria, fu pensata inizialmente per gli eletti dei Consigli regionali e comunali. Era l’epoca degli scandali a ripetizione generati dall’uso personale e disinvolto dei rimborsi pubblici da parte dei consiglieri e dei loro gruppi locupletati con ricche distrazioni dai bilanci di Comuni e Regioni. Reagire varando una legge che assegnava ai giudici
la repressione legale di queste malversazioni fu giusto. L’insanabile contraddizione della Severino è stata quella di estendere - con effetto retroattivo! - la stesse norme ai membri del Parlamento salvo poi dover richiamare l’art.66. Il giudice ordinario può sancire la decadenza di un consigliere regionale o comunale ma non la decadenza dei parlamentari: questa spetta alla Camera di appartenenza. Questa diversità dei parlamentari rispetto ai comuni cittadini è scolpita in quel che resta dell’articolo 68 per ciò che concerne indagini, ispezioni, arresti e nell’articolo 66 per i casi di decadenza. Queste garanzie derivano da un principio costituzio
nale: la separazione dei poteri. Che i populisti alla Di Maio incitino alla violenza popolare contro le libertà parlamentari non stupisce. Gli eletti 5 Stelle non rappresentano il popolo e non sono liberi. Rappresentano Grillo - domani Di Maio o Lady Taverna - e devono solo credere, obbedire e combattere. Chi sgarra è licenziato, «fired», «fuori» come nei tv show di Donald Trump o di Flavio Briatore, e deve restituire al movimento gli emolumenti che lo Stato gli ha versato.