Salvate il soldato Padoan
Dal Partito democratico arrivano attacchi sempre più pesanti. Così il ministro dell’ Economia inizia a pensare a un trasloco. Da via XX Settembre a via Nazionale.
Dietro la scrivania in Banca d’Italia, Guido Carli teneva un dipinto raffigurante San Sebastiano e lo mostrava, allargando le braccia, a ogni potente che incontrava, come a dire: non posso farci niente, anch’io sono così, trafitto da ogni parte. Pier Carlo Padoan si trova nella stessa situazione al ministero dell’Economia, solo che tutte le frecce arrivano da un’unica direzione: il Partito democratico.
Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici, ha rotto l’incanto del nuovo patto di Roma ricordando che il governo italiano deve trovare al più presto 3,4 miliardi di euro e indicare, già con il prossimo Documento di economia e finanza (Def), come evitare le clausole di salvaguardia: in altri termini è in gioco un rincaro dell’Iva e delle imposte indirette per circa 20 miliardi. Padoan ha ribadito che procederà senza tentennamenti, ma subito Matteo Renzi e i suoi fidi hanno disseminato il campo di trappole.
«Non vogliamo aumenti delle tasse», ha dichiarato più volte Matteo Orfini, presidente del Pd. Walter Verini, parlamentare dell’area renziana, ha rilanciato: «L’importante è che non sia una manovra depressiva». Dunque, non si toccano le imposte sui redditi e sui consumi, niente accise sulla benzina, niente tagli, niente voucher perché bisogna evitare a tutti i costi il referendum. Nonostante la presenza all’ultima kermesse del Lingotto, Padoan è un tecnico e in quanto tale deve obbedire alla politica, lo ha ribadito chiaro e tondo Orfini, giovane virgulto di scuola francese (politique d’abord!), e gli ha dato man forte la renzianissima Teresa Bellanova: i governi sono retti dai voti, non dai tecnici. Per placare gli animi, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni dice che «norme e vincoli europei non sono intoccabili» e si dà tempo fino a settembre con la legge di bilancio 2018. Ma la procedura di infrazione per eccesso di debito è dietro l’angolo. La disaffezione tra il partito renziano
e il ministro dell’Economia sta diventando un caso. A Bruxelles leggono con attenzione le quotidiane esternazioni politiche, ma soprattutto guardano alle cifre. Renzi tuona: «La flessibilità ce la siamo conquistata». Doveva servire per fare gli investimenti, però le cose non stanno così: gli investimenti fissi lordi della pubblica amministrazione sono addirittira diminuiti nel 2016 rispetto al 2015, da 36 miliardi e 686 milioni a 24 miliardi e 714 milioni.
Tra i palazzi romani è circolata la voce
che Padoan possa essere sostituito addirittura dallo stesso Renzi, anche se sembra improbabile. Contro un cambio in corso d’opera sono schierati sia il presidente della Repubblica sia la Commissione di Bruxelles. Entrambi temono l’impatto negativo sui mercati. Sarebbe la dimostrazione palese che l’Italia è un vascello senza pilota proprio mentre la Bce prepara cambiamenti importanti: un rialzo dei tassi ufficiali e una riduzione dell’acquisto di titoli sul mercato, misure destinate a rendere più difficile la gestione del debito pubblico. Vuoi vedere che ricomincia la guerra dello spread all’avvicinarsi delle elezioni politiche?
Padoan, che si è dimostrato leale fino al punto da piegarsi come canna al vento anche quando non avrebbe dovuto (come nel caso del Monte dei Paschi di Siena e del pasticcio JpMorgan), non vuol fare l’agnello sacrificale. Una via d’uscita onorevole per lui potrebbe essere Bruxelles, cominciando intanto con il guidare l’Eurogruppo (comprende i ministri dell’Economia e delle Finanze) al posto del laburista olandese Jeroen Djisselboem del quale Renzi ha chiesto con veemenza la testa dopo la gaffe sui Paesi che sperperano tutto in donne e vino. Non ci sono, però, dimissioni in vista, la scadenza naturale è solo dopo la formazione del nuovo governo guidato da Mark Rutte, un percorso che s’annuncia lungo e complicato. A Padoan piacerebbe lavorare di nuovo in una istituzione internazionale (è già stato ai vertici del Fondo monetario e dell’Ocse), ma chi lo conosce sostiene che tornerebbe volentieri agli studi (tre anni in via XX Settembre pesano come tre secoli), a meno che non spunti la poltrona di governatore della Banca d’Italia, al posto di Ignazio Visco in scadenza a novembre.
Il passaggio a via Nazionale è tutt’altro che scontato. Lunga è la lista di candidati alcuni dei quali con esperienza alla banca centrale e nelle istituzioni europee. In ogni caso, Visco non intende mollare e potrebbe essere confermato per altri sei anni. Ottimi sono i suoi rapporti con Gentiloni ed è apprezzato da Sergio Mattarella. A proporre la nomina è il governo, però l’ultima parola sul decreto spetta al presidente della Repubblica. E poi c’è Mario Draghi. Formalmente non può interferire, ma chi vorrà mai scontentare l’uomo che dal 2012 ha tenuto a galla l’Italia nonostante i suoi governi?