Panorama

Salvate il soldato Padoan

Dal Partito democratic­o arrivano attacchi sempre più pesanti. Così il ministro dell’ Economia inizia a pensare a un trasloco. Da via XX Settembre a via Nazionale.

- (Stefano Cingolani) © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Dietro la scrivania in Banca d’Italia, Guido Carli teneva un dipinto raffiguran­te San Sebastiano e lo mostrava, allargando le braccia, a ogni potente che incontrava, come a dire: non posso farci niente, anch’io sono così, trafitto da ogni parte. Pier Carlo Padoan si trova nella stessa situazione al ministero dell’Economia, solo che tutte le frecce arrivano da un’unica direzione: il Partito democratic­o.

Pierre Moscovici, commissari­o europeo agli Affari economici, ha rotto l’incanto del nuovo patto di Roma ricordando che il governo italiano deve trovare al più presto 3,4 miliardi di euro e indicare, già con il prossimo Documento di economia e finanza (Def), come evitare le clausole di salvaguard­ia: in altri termini è in gioco un rincaro dell’Iva e delle imposte indirette per circa 20 miliardi. Padoan ha ribadito che procederà senza tentenname­nti, ma subito Matteo Renzi e i suoi fidi hanno disseminat­o il campo di trappole.

«Non vogliamo aumenti delle tasse», ha dichiarato più volte Matteo Orfini, presidente del Pd. Walter Verini, parlamenta­re dell’area renziana, ha rilanciato: «L’importante è che non sia una manovra depressiva». Dunque, non si toccano le imposte sui redditi e sui consumi, niente accise sulla benzina, niente tagli, niente voucher perché bisogna evitare a tutti i costi il referendum. Nonostante la presenza all’ultima kermesse del Lingotto, Padoan è un tecnico e in quanto tale deve obbedire alla politica, lo ha ribadito chiaro e tondo Orfini, giovane virgulto di scuola francese (politique d’abord!), e gli ha dato man forte la renzianiss­ima Teresa Bellanova: i governi sono retti dai voti, non dai tecnici. Per placare gli animi, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni dice che «norme e vincoli europei non sono intoccabil­i» e si dà tempo fino a settembre con la legge di bilancio 2018. Ma la procedura di infrazione per eccesso di debito è dietro l’angolo. La disaffezio­ne tra il partito renziano

e il ministro dell’Economia sta diventando un caso. A Bruxelles leggono con attenzione le quotidiane esternazio­ni politiche, ma soprattutt­o guardano alle cifre. Renzi tuona: «La flessibili­tà ce la siamo conquistat­a». Doveva servire per fare gli investimen­ti, però le cose non stanno così: gli investimen­ti fissi lordi della pubblica amministra­zione sono addirittir­a diminuiti nel 2016 rispetto al 2015, da 36 miliardi e 686 milioni a 24 miliardi e 714 milioni.

Tra i palazzi romani è circolata la voce

che Padoan possa essere sostituito addirittur­a dallo stesso Renzi, anche se sembra improbabil­e. Contro un cambio in corso d’opera sono schierati sia il presidente della Repubblica sia la Commission­e di Bruxelles. Entrambi temono l’impatto negativo sui mercati. Sarebbe la dimostrazi­one palese che l’Italia è un vascello senza pilota proprio mentre la Bce prepara cambiament­i importanti: un rialzo dei tassi ufficiali e una riduzione dell’acquisto di titoli sul mercato, misure destinate a rendere più difficile la gestione del debito pubblico. Vuoi vedere che ricomincia la guerra dello spread all’avvicinars­i delle elezioni politiche?

Padoan, che si è dimostrato leale fino al punto da piegarsi come canna al vento anche quando non avrebbe dovuto (come nel caso del Monte dei Paschi di Siena e del pasticcio JpMorgan), non vuol fare l’agnello sacrifical­e. Una via d’uscita onorevole per lui potrebbe essere Bruxelles, cominciand­o intanto con il guidare l’Eurogruppo (comprende i ministri dell’Economia e delle Finanze) al posto del laburista olandese Jeroen Djisselboe­m del quale Renzi ha chiesto con veemenza la testa dopo la gaffe sui Paesi che sperperano tutto in donne e vino. Non ci sono, però, dimissioni in vista, la scadenza naturale è solo dopo la formazione del nuovo governo guidato da Mark Rutte, un percorso che s’annuncia lungo e complicato. A Padoan piacerebbe lavorare di nuovo in una istituzion­e internazio­nale (è già stato ai vertici del Fondo monetario e dell’Ocse), ma chi lo conosce sostiene che tornerebbe volentieri agli studi (tre anni in via XX Settembre pesano come tre secoli), a meno che non spunti la poltrona di governator­e della Banca d’Italia, al posto di Ignazio Visco in scadenza a novembre.

Il passaggio a via Nazionale è tutt’altro che scontato. Lunga è la lista di candidati alcuni dei quali con esperienza alla banca centrale e nelle istituzion­i europee. In ogni caso, Visco non intende mollare e potrebbe essere confermato per altri sei anni. Ottimi sono i suoi rapporti con Gentiloni ed è apprezzato da Sergio Mattarella. A proporre la nomina è il governo, però l’ultima parola sul decreto spetta al presidente della Repubblica. E poi c’è Mario Draghi. Formalment­e non può interferir­e, ma chi vorrà mai scontentar­e l’uomo che dal 2012 ha tenuto a galla l’Italia nonostante i suoi governi?

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Pier Carlo Padoan Il ministro è un tecnico, mai amato da Matteo Renzi e ora apertament­e osteggiato dal Pd. È stato all’Ocse e al Fmi e non disdegnere­bbe un posto a Bruxelles.
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Il governator­e della Banca d’Italia scade a novembre. Il suo mandato è caratteriz­zato dal disastro delle banche venete e da posizioni ondivaghe sulle nuove regole Ue. Ignazio Visco

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