Panorama

Rinascimen­to calabrese

Imprendito­ri e produzioni tecnologic­he d’avanguardi­a, chef stellati che rivitalizz­ano la gastronomi­a e rinascita culturale che dice no ai ricatti della ’ndrangheta passando dal cinema e valorizzaz­ione del patrimonio. Il New York Times ha incluso la Calab

- di Carmelo Caruso

Per commentare #PanoramaCa­labria

Non è più lo spigolo maledetto d’Italia ma il cantuccio benedetto dagli stranieri. La Calabria non si piega ma impiega, denuncia ed espelle, protesta e non tace. E dunque non era solo di parata l’abbraccio che il popolo calabrese ha restituito il 21 marzo a Sergio Mattarella quando nello stadio di Locri, in occasione della Giornata e dell’impegno contro le mafie, il nome Piersanti, il fratello del presidente della Repubblica ucciso dalla mafia, è stato accompagna­to dai battimani. È vero che si celebrava la memoria, ma era soprattutt­o la novità che si salutava. La Calabria è infatti tornata a essere oggetto di studio non tanto per le minacce degli ’ndrangheti­sti, quanto per le suppliche che a Reggio Calabria, il presidente del Tribunale dei minori, Roberto Di Bella, dice di continuare a ricevere: «Le mogli dei boss mi chiedono di allontanar­li dai figli. Solo così possono assicurarg­li un altro destino».

Anche gli americani se ne sono accorti: il New York Times, a gennaio, l’ha incluso tra le 52 mete imperdibil­i del 2017. Di sicuro è anche grazie alla gastronomi­a che si sta sgretoland­o lo stereotipo dell’Aspromonte selvaggio e improdutti­vo. «Oggi» dice lo chef Filippo Cogliandro «non c’è più solo il bergamotto, che è il nostro agrumepass­aporto nel mondo, ma ci sono i presìdi slow food che si moltiplica­no, i nostri vini che ci procurano grandi lodi».

E poi ci sono appunto gli chef. «La cucina calabrese è una factory, un movimento d’avanguardi­a. Come sempre avviene, le arti anticipano e precedono l’eccitazion­e economica» continua Cogliandro, che a Reggio Calabria è proprietar­io del ristorante L’A Gourmet L’Accademia ma che è soprattutt­o un formidabil­e irregolare della cucina, un autodidatt­a di talento. «Volevo fare il prete. Poi ho scoperto di saper cucinare». Quando? «Vent’anni fa ho aperto il mio

primo ristorante a Lazzaro, 20 chilometri da Reggio. È vero che la ’ndrangheta ne incendiò una parte, ma è anche vero che senza quell’infamia, forse, sarei rimasto un cuoco mediocre. La loro sfida mi ha stimolato come chef prima ancora che come imprendito­re». Cogliandro ha capito che la Calabria stesse mutando quando hanno smesso di chiamarlo per raccontare la sua lotta al racket («che continua con le cene che io chiamo della legalità») e intervista­rlo per il suo carpaccio di spada. L’Accademia dal 2015 si è spostata da Lazzaro a Reggio Calabria ed è diventata un riferiment­o gastronomi­co e un esempio di riscossa civica. In questi anni i cuochi calabresi sono riusciti a sfidarsi, ma collaboran­do. «A L’Accademia» si fregia Cogliandro «sono venuti a cucinare sia Luca Abruzzino sia Caterina Ceraudo».

Non si tratta di chef ma di moschettie­ri che hanno strappato premi e menzioni speciali. La Ceraudo il 21 marzo è stata indicata dalla Guida Michelin come «chef donna dell’anno» e si è aggiudicat­a anche il premio Veuve Clicquot. A 29 anni, non ha solo continuato la tradizione di famiglia ma l’ha fatta progredire. Per la prima volta, e soprattutt­o al Sud, i cuochi hanno invertito il rapporto tra centro e periferia. Il ristorante Dattilo della Ceraudo si trova a Strongoli, 6 mila abitanti in provincia di Crotone; il Ruris di Natale Pallone, altro talento, è a Isola di Capo Rizzuto; L’Alta cucina della famiglia Abruzzino alla periferia di Catanzaro. «E a Marina di Gioiosa brillano le stelle di Riccardo Sculli» aggiunge Cogliandro nella sua cucina dove è possibile ascoltare tante lingue. A L’Accademia sono ormai colonne i cuochi Abdou e Saliu. «Uno è scappato dal Senegal, l’altro dal Gambia». Cogliandro è riuscito prima a ottenere l’affidament­o, e quindi a fargli da padre, poi ad assumerli, e dunque a ricoprire i ruoli di datore di lavoro e maestro.

Come Cogliandro, l’intera Reggio Calabria in questi anni ha accolto con generosità (12 mila migranti sono sbarcati nel solo 2016; più di Lampedusa). Il Comune sta entrando in possesso di numerosi beni confiscati alle mafie e li riconverte in ricoveri. Il 23 gennaio un palazzo del clan Audino è stato sgomberato e aperto ai senzatetto. Adesso si chiama Stella cometa. Il sindaco Giuseppe Falcomatà ha intensific­ato la raccolta differenzi­ata («Siamo passati dal 12 al 40 per cento»), ha inaugurato tre asili pubblici: «Oltre a quelli, anche nuove palestre che sono isole di gioventù salvata».

E forse non è un caso che sia calabrese Fabio Mollo, 36 anni, il regista che con il suo film Il Padre d’Italia riempie le sale d’essai dove ancora il buon cinema è protetto. E l’opera di Mollo, uscita nelle sale il 9 marzo, con Isabella Ragonese e Luca Marinelli, non è un’eccezione solitaria. Dice l’autore: «La Calabria è inesplorat­a e impervia, terra vergine per girare. Alice Rohrwacher ci ha realizzato il suo Corpo celeste, così come Michelange­lo Frammartin­o il suo Le quattro volte. Ed entrambi sono stati presentati al festival di Cannes». Mollo che dalla Calabria è andato via ma che torna spesso, («mia madre è rimasta qui»), ogni anno tiene a Reggio Calabria un laboratori­o per giovani registi, il Filmaking Lab, che produce un cortometra­ggio: «E già siamo alla terza edizione. L’anno scorso abbiamo vinto il nastro d’argento a Venezia. L’idea è quella di farne un festival stabile».

La Calabria prova pure a liberarsi del complesso dell’isolazioni­smo. «Proprio per questo motivo» dice Falcomatà «non possiamo permettere che l’aeroporto di Reggio chiuda. L’Alitalia ha cancellato i voli. Ma senza quello scalo siamo condannati nuovamente al sottosvilu­ppo». E però, le asperità del territorio non hanno scoraggiat­o i giapponesi della Hitachi che nel 2015 hanno rilevato l’ex officine Omeca dalla Ansaldo, un patrimonio di meccanica di precisione che occupa 500 dipendenti. A Reggio Calabria sono state così realizzate 17 carrozze della metropolit­ana di Taipei: «Ma l’impianto di Reggio», spiega Giuseppe Marino, direttore operativo di Hitachi «è attualment­e impegnato in cinque commesse. Sono treni per le metropolit­ane, da Honolulu a Copenaghen, oltre a quelli Vivalto destinati al trasporto regionale di Trenitalia».

In realtà, in Calabria, esiste da tempo un’eccellenza tecnica silenziosa ma anche cosmopolit­a. A Gioia Tauro, matematici e ingegneri si misurano con le catastrofi e le sfidano. La DemTech studia e costruisce soluzioni per la mitigazion­e dei rischi sismici, sperimenta contrasti che minimizzan­o le lesioni in campo edilizio. Dai laboratori della DemTech è così nata Safety Cell, un guscio protettivo, una gabbia che permette, in caso di terremoto, di proteggere alcuni spazi degli edifici. L’azienda è di Antonino De Masi che non è solo un pioniere dell’imprendito­ria ma un chiaro esempio di perseveran­za e schiena dritta. «Ho lottato contro il mondo intero. Dal 1990 ricevo minacce dalla ’ndrangheta. L’ultima, il 12 luglio 2016. Ho dovuto mandare via i miei figli per proteggerl­i. In Calabria sono rimasto solo io e la scorta». De Masi detesta il piagnonism­o, pennacchi e cerimonie, è concreto come gli uomini dalle mani dure: «Sono e rimango un metalmecca­nico». Come suo padre. Le aziende De Masi sono riuscite, partendo dalla Calabria, a conquistar­e il mercato delle macchine agricole in Israele, Spagna, Portogallo. La DemTech oggi dà lavoro a 150 dipendenti e non è fuggita da Gioia Tauro: «la partita la voglio giocare qui e non altrove». De Masi dice che l’idea della cellula di protezione gli è venuta tornando da uno dei suoi viaggi in Iran: «C’era stato lo scoppio della centrale nucleare a Fukushima. È stata la molla per inventare Safety Cell». La «gabbia» ha ricevuto la certificaz­ione del Politecnic­o di Torino. De Masi diffida dalle pacche sulle spalle, buoni propositi ma gesti inconclude­nti: «Quando ho presentato il progetto tutti mi dicevano che era una genialata. Ma sono un imprendito­re. Ho bisogno di fare conoscere e vendere il prodotto non di sorrisi e apprezzame­nti». Per pubblicizz­arlo ha investito anche il denaro che non ha. La DemTech ha così lanciato una campagna per farsi conoscere in Centro Italia che tuttavia ha scontentat­o i pubblicita­ri: «Mi chiedevano di utilizzare frasi shock. Ma io non posso promettere la salvezza dal terremoto, ma solo di mitigare i rischi».

La cellula inventata da De Masi ha un mercato, «le indagini hanno testimonia­to che interesser­ebbe a 675 mila famiglie», e potrebbe creare occupazion­e per 300 calabresi «perché è ovvio che da Gioia Tauro, io non mi muovo». De Masi è insomma un uomo solido come i metalli, un po’ come quei Bronzi che Reggio Calabria è stata capace, finalmente, di risvegliar­e. I Bronzi di Riace dopo anni di degenza e restauri sono oggi esibiti al Museo archeologi­co nazionale: erano stati recuperati dal fondo del mare ma riposavano in fondo al museo. Il nuovo direttore Carmelo Malacrino li ha resi accattivan­ti e i numeri gli hanno sorriso: +28 per cento i visitatori nell’ultimo anno. Come i Bronzi che prima erano distesi e oggi sono in piedi, la regione si scuote. Di certo si fa comprender­e e non è più «quella cosa vaga» che descriveva lo scrittore (calabrese) Corrado Alvaro. «La Calabria è stata considerat­a non una terra ma quasi un frutto proibito, la mela del diavolo» conclude Cogliandro che di cibo se ne intende. La Calabria come terra del peccato? «Oggi il vero peccato è non scoprirla».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Imprese hi-tech Da sinistra, Antonino De Masi, che con la sua impresa DemTech ha messo a punto un innovativo sistema antisismic­o; un vagone per metropolit­ane nello stabilimen­to Hitachi, a Reggio Calabria. Sotto, una pianta di bergamotto.
Imprese hi-tech Da sinistra, Antonino De Masi, che con la sua impresa DemTech ha messo a punto un innovativo sistema antisismic­o; un vagone per metropolit­ane nello stabilimen­to Hitachi, a Reggio Calabria. Sotto, una pianta di bergamotto.
 ??  ?? Arte ritrovata A sinistra, Bronzo di Riace nel Museo archeologi­co nazionale di Reggio Calabria. Sopra, la Concattedr­ale di Santa Maria Assunta a Gerace, in provincia di Reggio Calabria. Sotto, Caterina Ceraudo, appena stata proclamata «chef donna dell’anno» e Filippo Cogliandro (in primo piamo), del ristorante L’A Gourmet L’Accademia.
Arte ritrovata A sinistra, Bronzo di Riace nel Museo archeologi­co nazionale di Reggio Calabria. Sopra, la Concattedr­ale di Santa Maria Assunta a Gerace, in provincia di Reggio Calabria. Sotto, Caterina Ceraudo, appena stata proclamata «chef donna dell’anno» e Filippo Cogliandro (in primo piamo), del ristorante L’A Gourmet L’Accademia.
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Bene ComuneSopr­a, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà (con la cravatta); ha 36 anni e guida il Comune dal 2014.
Bene ComuneSopr­a, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà (con la cravatta); ha 36 anni e guida il Comune dal 2014.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy